Si fa sempre più fatica a riconoscere che cosa è Azzardo e cosa non lo è.
Sappiamo che non è un gioco.
Ma ne siamo davvero certi? Siamo sicuri di saper riconoscere davvero cosa sia un gioco d’azzardo?
Questa certezza nella conoscenza e dunque nel percepito comune è sempre più labile, se non addirittura assente.
Lo conferma e lo analizza molto bene per noi Giulia Tomasi psicoterapeuta e operatrice presso l’associazione Ama a Trento; A.M.A. è l’acronimo che indica l’Auto Mutuo Aiuto, ossia i gruppi di sostegno
e di accompagnamento per chi ha un problema con il gioco d’azzardo e anche per i familiari.
Nella Provincia di Trento l’associazione A.M.A. si occupa del progetto “gioco d’azzardo – cura e prevenzione”
in convenzione con il Servizio per le Dipendenze, offrendo serate di informazione e sensibilizzazione rispetto
al tema, ma anche colloqui per persone con il problema e i loro familiari, e gruppi di auto mutuo aiuto sul territorio della provincia.
La dottoressa Tomasi da sempre si occupa del tema delle dipendenze da comportamento, tra cui il Disturbo da Gioco d’Azzardo. Ha così potuto vivere in prima persona il cambiamento della tipologia dei giocatori problematici e patologici: la prima volta nel 2013, a seguito della liberalizzazione delle slot-machine e delle VLT, la seconda con il COVID.
«Se tra il 2013 e 2019 l’identikit più tipico del giocatore d’azzardo era generalmente quello di un uomo over 60 che giocava per lo più alle slot-machine o alle VLT; anche nel caso delle donne l’età era superiore ai 65, ma prediligevano generalmente le lotterie istantanee» spiega Giulia Tomasi. Poi qualcosa è cambiato: «Con la diffusione di massa dei giochi d’azzardo, prima, e con il lockdown, poi, oggi l’Azzardo è entrato a far parte della nostra cultura. Pensiamoci un attimo…
Ogni giorno tutti noi scommettiamo su qualcosa, praticamente senza accorgercene. Anzitutto sulla nostra immagine che sviluppiamo e coltiviamo online. Ed è proprio l’online ad aver contribuito in modo sostanziale alla riformulazione dell’identikit del giocatore.
Ci sono infatti sempre più giovani che giocano, ma non solo. Il digitale ha definitivamente normalizzato quello che gioco non è, eppure che viene sempre più accettato e sempre meno percepito come azzardo».
L’offerta diffusa (offline, ma anche e sempre più online) in ogni momento della giornata, facilmente accessibile, in luoghi comuni come i bar, sempre a portata di mano come lo smartphone, ha definitivamente scardinato la consapevolezza dei rischi. L’azzardo è diventato trasparente e sempre presente.
Val, dunque, la pena ricordare che cosa sia l’azzardo, ossia qualsiasi gioco che prevede una puntata in denaro o un premio in denaro il cui risultato dipende totalmente – come nel caso per esempio delle slot-machine – o parzialmente – come nel caso per esempio delle scommesse – dal caso.
«La fluidità del gioco online e la presenza spesso silenziosa di ogni tipo di gioco nei contesti quotidiani,
ne hanno dunque favorito la normalizzazione» continua Giulia Tomasi.
Ci sono in particolare tre esempi di azioni che, pur avendo una componente ludica, sono vere e proprie pratiche di azzardo:
- il trading online che è a tutti gli effetti una scommessa
- le scommesse sportive online
- il poker online.
«I giovani, che vivono sempre di più in rete, vengono facilmente illusi dal mercato e indotti a pensare che
il trading (lo scommettere in borsa), le scommesse sportive e il poker possano diventare un una fonte
di guadagno, se non addirittura un lavoro. Si tratta a tutti gli effetti di una distorsione cognitiva, nell’ambito dell’illusione del controllo. Stiamo parlando in grande maggioranza di maschi, dai 20 ai 25 anni, che cadono
in questa rete – ripeto – illusoria, cominciando il più delle volte a giocare per divertimento in modo saltuario. Spesso proprio durante le scuole superiori succede che qualche vincita generi uno stato di eccitazione che induce a credere che si possa guadagnare senza troppa fatica. Ecco allora che pian piano l’idea del trading, delle scommesse e/o del poker come fonti di guadagno e non come azioni di azzardo mette radici.
Se poi il ragazzo sta vivendo un periodo di fragilità – per esempio è scontento del lavoro oppure non è riuscito a entrare nell’università che desiderava – allora scommettere diventa una soluzione, tutto sommato semplice, ai propri problemi. A questo punto è facile aumentare progressivamente il giocato e passare da un comportamento sociale a uno problematico che è l’anticamera della patologia».
Dato che stiamo parlando principalmente di una fascia d’età la cui quotidianità è caratterizzata da una forte presenza online, sorge spontanea la domanda: Quale correlazione c’è tra gaming e gambling?
«Certo, pensiamo per esempio alle loot box che vengono considerate un prodromo dell’azzardo.
Tuttavia, nella mia esperienza professionale, non ho incontrato ragazzi che sono passati dal gaming
al gambling. Inoltre, teniamo conto che le due dipendenze sono tra loro diverse».
Quanto invece, in questo contesto fluido e normalizzato, influiscono i social network, nei quali ogni giorno ognuno di noi e soprattutto i più giovani scommettono sulla propria immagine?
«Se parliamo di dipendenza, stiamo parlando di una patologia scientificamente riconosciuta e con delle caratteristiche specifiche: craving, tolleranza e assuefazione. Personalmente ritengo scorretto ritenere
che si possa sviluppare una “dipendenza da social-network”: come dice Luciano Floridi, filosofo che si occupa di digitale, viviamo tutti una vita onlife cioè una vita in cui virtuale e reale sono completamente fusi, non si può fare a meno di Internet e nemmeno dei social network; se passarci tanto tempo significa avere una dipendenza saremmo tutti malati! Sarebbe invece più corretto parlare di uso eccesivo o abuso, ma anche in questo caso andrebbe fatta una lettura clinica.
Un’ulteriore riflessione andrebbe fatta rispetto alla diffusione dell’offerta di azzardo e della pubblicità.
È stato ormai accertato che più aumenta l’offerta, più aumenta la domanda; più si gioca e più cresce il rischio comportamenti problematici. La recente legge che vieta la pubblicità nei luoghi fisici è un buon passo avanti, ma ci vorrebbe una regolamentazione anche per quella online. Il punto cruciale, quando si parla di azzardo, a mio avviso resta lo sdoganamento culturale, in quanto l’azzardo viene normalizzato, concepito come un gioco senza rischio, creando confusione tra quello che può essere definito un gioco e quello che poi nella pratica risulta evidente non esserlo».
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