Lo fanno tutti… i giovani non percepiscono il rischio dell’azzardo

da | 12 Aprile 2024

I ragazzi e i giovani giocano alle slot machine e scommettono, ma non lo ritengono… un azzardo, perché: “Lo fanno tutti”. Questi sono i risultati dell’Azzardometro del progetto di peer education #sLOTTA, all’interno della campagna Umbria No Slot.

Lucia Coco referente del Centro per il trattamento del Disturbo da Gioco d’Azzardo di Foligno dell’USL Umbria 2, nonché firma del Bulletin di ALEA, l’associazione scientifica che studia il fenomeno del gioco d’azzardo e promuove interventi di prevenzione, cura e recupero, oltre allo scambio scientifico e alla diffusione di una cultura responsabile e consapevole.Ce ne parla la psicologa Lucia Coco, referente del Centro per il trattamento del Disturbo da Gioco dAzzardo di Foligno dell’USL Umbria 2, nonché firma del Bulletin di ALEA, lassociazione scientifica che studia il fenomeno del gioco dazzardo e promuove interventi di prevenzione, cura e recupero, oltre allo scambio scientifico e alla diffusione di una cultura responsabile e consapevole.

Quella che era una percezione di chi, ogni giorno, lavora per la cura e il trattamento delle dipendenze, e in particolare dell’addiction da gambling, si è rivelata una presa di consapevolezza, supportata dai dati. Come ci spiega Lucia Coco: «I giovani e i ragazzi, non solo i minorenni, giocano alle slot o al gratta e vinci o fanno scommesse, per lo più sportive, ma non riconoscono questo come un comportamento d’azzardo, ossia un comportamento a rischio».

Questa mancanza di consapevolezza spesso si traduce in una vera e propria dispercezione di che cosa sia un gioco e di che cosa sia l’azzardo. È stata rilevata attraverso il progetto #sLOTTA che adotta la metodologia della Peer Education all’interno della campagna Umbria No Slot.

Ragazzo che cammina sulla ringhiera di un ponte di una metropoli americana al tramonto. Immagine evocativa per descrivere le azioni di rischio che i giovani commettono, senza averne la percezione. Proprio come accade quando giocano d'azzardo, non considerandone i rischi

I peer hanno ideato un questionario anonimo, chiamato Azzardometro poi rielaborato dai professionisti del CERSAG Centro di Salute e Ricerca Globale di Orvieto. L’azzardometro consiste in un questionario per poter esprimere liberamente il proprio pensiero sul tema. È stato proposto volontariamente durante interventi di sensibilizzazione svolti dai peer sul territorio regionale (eventi, iniziative e scuole) e online. Lo scopo è stato sondare l’esperienza dei giovani in rapporto al gioco d’azzardo e la loro percezione delle problematiche ad esso legate.

La raccolta dati è ancora attiva e ogni anno vengono analizzati i dati. Nei dati analizzati nel 2022 si è rilevato quanto giovani e i giovanissimi non riconoscano il proprio comportamento d’azzardo come un comportamento di rischio. Quando è stato chiesto ai ragazzi di associare a “gioco d’azzardo” le prime tre parole che vengono in mente, le più citate sono soldi e dipendenza, come dire che l’azzardo riguarda solo chi è dipendente, non i loro comportamenti, come ad esempio scommettere». Dopo la rilevazione dell’analisi dei dati «abbiamo continuato e implementato il nostro lavoro consueto sul territorio e nelle comunità, facendo sensibilizzazione e prevenzione. I dati raccolti con il progetto #sLOTTA e lo strumento dell’Azzardometro hanno dato una direzione più precisa alle nostre azioni di promozione della salute. Sono attività che facciamo in tutte le scuole di ogni ordine e grado. Qui il lavoro parte dall’analisi e dallo sviluppo delle competenze emotive relazionali trasversali. In tutto questo, i Peer ci aiutano moltissimo a far emergere la consapevolezza del rischio.

Lucia Coco

Come è possibile questa pandemia di non consapevolezza?

Ormai il livello di normalizzazione del gioco d’azzardo è molto alto. Questo è dovuto alla pervasiva diffusione di ogni tipo di gioco d’azzardo offline e online. La facilità di accesso in ogni momento e in ogni luogo ha aumentato il numero dei giocatori. Perciò i giovani pensano: “Se lo fanno tutti, allora si può fare. Se lo fanno tutti, non c’è nessun rischio. Se lo fanno tutti, non è vero azzardo”.

Lo fanno tutti e dunque qual è il problema!?

Ormai l’influenza sociale del gioco d’azzardo è molto forte e talmente pervasiva da non far percepire il rischio.

In che senso?

La parola ‘azzardo’ viene da tutti immediatamente associata al concetto di rischio o al concetto di dipendenza. Però, quando i giovani giocano alle slot-machine oppure fanno una scommessa sportiva oppure grattano un gratta e vinci, in quel momento non associano l’azione al rischio. Quindi, se non c’è rischio, non c’è nemmeno azzardo.

carte da poker messe in fila e sullo sfondo fisches del casinò

La non consapevolezza del rischio riguarda un’intera generazione che possiamo evidenziare come la Gen Z e una parte dei Millennials oppure riguarda solo chi gioca d’azzardo?

Purtroppo è un fatto generazionale, al netto di chi gioca oppure no.

Che cos’è un comportamento a rischio?

Un tipico comportamento a rischio è proprio l’azzardo. Nel momento stesso in cui io uso dei soldi che di fatto sto scommettendo per un’azione guidata dal caso, ecco in quel momento sto attuando un comportamento a rischio. Quell’azione è di per sé rischiosa.

Come lavorate per far emergere nei giovani e nei giovanissimi la consapevolezza dei propri comportamenti a rischio, legati al gioco d’azzardo?

Il primo passo è fare emergere il comportamento a rischio in sé, quindi parlarne e confrontarsi per mostrare loro che ciò che stanno facendo non è un gioco, ma è un rischio e dunque un azzardo.

In secondo luogo vanno abbattute tutte le credenze cognitive distorte che per esempio spingono a continuare a giocare nel momento delle quasi vincite. Ma ce ne sono davvero tante.

In terzo luogo si può lavorare per aumentare la percezione del rischio.

I risultati sono buoni, ma il lavoro è davvero molto lungo, proprio a causa del contesto additivo in cui viviamo.

Da questa analisi può emergere un senso di impotenza da parte della comunità educante fatta dagli adulti (familiari, insegnanti…) che potrebbero sentirsi disarmati di fronte a questa pandemia di dispercezione collettiva…

Certamente, anche se la prima domanda che dobbiamo farci è: Ma gli adulti hanno davvero la giusta percezione del rischio?

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