Quando il gioco d’azzardo diventa una dipendenza, non è più solo un comportamento sbagliato. È un disturbo neurobiologico: il cervello si modifica, la chimica cambia e la persona perde gradualmente la capacità di scegliere in modo libero e consapevole. Stiamo parlando di una vera e propria malattia che si chiama: Disturbo da Gioco D’Azzardo (DGA).
Comprendere questi processi è fondamentale, soprattutto per i familiari, che spesso si chiedono: “Perché non riesce a smettere, anche se perde tutto?”
Vediamo allora cosa succede davvero nel cervello di un giocatore patologico e perché questo lo rende così vulnerabile.
Il sistema della ricompensa: quando il gioco prende il posto di tutto il resto
Tutto parte da un sistema profondo e antico del nostro cervello: il circuito della ricompensa. In condizioni normali, questo circuito si attiva quando facciamo qualcosa di piacevole: mangiare, socializzare, fare sport, amare… Nel cervello di chi sviluppa una dipendenza da azzardo, però, succede qualcosa di diverso: il gioco prende il sopravvento, attivando il circuito della ricompensa in modo intenso, rapido e ripetuto. Ogni volta che una persona gioca, il cervello rilascia dopamina, un neurotrasmettitore che comunica al corpo un messaggio potente: “Questo ti fa stare bene. Fallo ancora.”
Nelle persone sane, la dopamina torna a livelli normali, dopo l’azione piacevole, mentre nel giocatore patologico, la produzione di dopamina è più intensa dunque il cervello diventa sempre meno sensibile e così si crea tolleranza. Ecco allora che per provare lo stesso piacere, serve giocare di più. A lungo andare, il sistema dopaminergico si altera. La persona non gioca più per vincere, ma perché non riesce a non farlo. Esattamente come accade con cocaina o alcol, per esempio.
Come si modifica il cervello di un giocatore patologico
Il cervello è plastico, ovvero capace di cambiare in base alle esperienze. Nel giocatore d’azzardo patologico, queste modifiche sono evidenti, anzitutto nell’iperattività del circuito della ricompensa per cui il cervello diventa ipersensibile agli stimoli del gioco come suoni, luci, rituali, app di scommesse…
L’area coinvolta è la corteccia prefrontale che è quella che serve a controllare gli impulsi, a valutare le conseguenze e a prendere decisioni razionali. Perciò nel giocatore patologico, queste attività sono ridotte. È per questo che sembra non imparare dagli errori, anche quando le perdite sono gravi.
Si verifica poi anche una alterazione della memoria e dell’apprendimento. Infatti l’ippocampo e l’amigdala, le aree coinvolte nella memoria emotiva, vengono “addestrate” a ricordare le vincite (anche se rare) e a dimenticare le perdite. Questo rafforza le distorsioni cognitive come la quasi vincita o l’illusione del controllo.
Uomini e donne: il cervello reagisce in modo diverso?
Le differenze di genere sono significative, anche nel disturbo da gioco d’azzardo. Gli uomini sono più attratti da giochi di abilità percepita (scommesse sportive, poker…); hanno un maggiore attivazione del circuito dopaminergico e dunque il loro esordio è più precoce e l’andamento più lungo. Le donne invece sono più attratte da giochi ripetitivi e a bassa soglia (slot machine, bingo…); hanno un maggiore coinvolgimento del sistema limbico, legato all’emotività, dunque sviluppano la dipendenza più tardi, ma con una progressione più rapida (effetto telescoping). Spesso inoltre il gioco è una risposta a solitudine, lutti o stress. In entrambi i casi, comunque, il risultato è una perdita di controllo che ha basi neurologiche reali, non solo psicologiche o comportamentali.
Perché è importante per i familiari conoscere questi meccanismi?
Perché sposta lo sguardo dal giudizio alla comprensione. Chi gioca in modo compulsivo non è solo debole o irresponsabile: è una persona che ha subito un cambiamento profondo nel cervello. Sapere questo permette di: evitare colpevolizzazioni; sostenere un percorso di cura adeguato; proteggere sé stessi e gli altri familiari; rompere la spirale di vergogna e silenzio.
La buona notizia: il cervello può guarire
Grazie alla neuroplasticità, il cervello può riorganizzarsi. Ma servono tempo, astinenza dal gioco e un trattamento mirato: psicoterapia, gruppi di supporto, farmaci nei casi più complessi. Il cambiamento è possibile. Ma non avviene da solo. E non avviene in fretta. Ecco perché abbiamo attivato il servizio gratuito di supporto ai familiari.
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