Tutti noi abbiamo sperimentato lo sgomento di fronte alle lancette dell’orologio che, in quelli che a noi sono sembrati 5 minuti, si sono spostate di un’ora! Lasso di tempo che abbiamo impiegato a guardare reel senza senso (gli esempi sarebbero davvero troppi e deprimenti). E poi arriva chi ha provato a scorrere con il dito lungo la pagina di un libro, dimenticandosi di non avere in mano uno smartphone. E così su TikTok molte persone cominciano a usare la parola brain rot per condividere i momenti in cui si sono accorti che il loro cervello si è liquefatto nel flusso continuo di attenzione regalata allo schermo e governata dall’algoritmo.
Il termine brain rot, letteralmente marciume del cervello, è diventato una delle parole chiave dell’anno, catturando l’attenzione di milioni di persone in tutto il mondo. È stato infatti scelto come parola del 2024 dall’Oxford University Press. Si tratta della casa editrice del noto vocabolario di lingua inglese Oxford English Dictionary che ogni 365 giorni sceglie una parola che riassume l’anno in corso «o almeno una parte di esso». Non sempre si tratta di un neologismo, ossia di una nuova parola, ma può essere anche un termine o un concetto che ha assunto un significato nuovo o più profondo a causa di specifici eventi o usi diventati virali.
Brain rot nasce dall’inglese colloquiale ed è stato molto usato in modo iperbolico per descrivere stati mentali legati al consumo eccessivo di media o di contenuti digitali. È comune nelle piattaforme di TikTok, Twitter, Reddit e Tumblr, dove gli utenti lo usano addirittura per indicare la tendenza a filtrare la realtà attraverso ciò che è stato pubblicato e ciò che potrebbe essere pubblicato, a discapito dell’esperienza analogica, ossia nello spazio fisico. Un po’ come dire: se non c’è sulle schermo, non esiste.
Lo possiamo tradurre con marciume o putrefazione del cervello. Tuttavia, facendo un giro tra le risposte di traduzione online, Reverso suggerisce, senza ripensamenti, anche: rincoglionimento mediatico. Una condizione che ha legami anche con il gioco d’azzardo.
Lo scrolling continuo, la navigazione frenetica e la costante ricezione di notifiche possono sovraccaricare il cervello e interferire con i processi cognitivi. Addirittura è stata rilevata una diminuzione della mataria grigia! Inoltre il bombardamento di notizie brevi, video virali e contenuti superficiali può impedire alla nostra mente di elaborare informazioni complesse e di sviluppare un pensiero critico.
Ma cosa proviamo quando perdiamo il controllo della realtà analogica? Stanchezza mentale, difficoltà di concentrazione e dipendenza da stimoli digitali. In particolare per chi è vulnerabile, come per esempio i giocatori d’azzardo problematici o patologici, il brain rot può costituire un acceleratore verso comportamenti compulsivi e difficoltà cognitive. Vale anche per chi soffre o è particolarmente sensibile verso comportamenti additivi, e soprattutto per la Gen Z e la Gen Alpha.
Qui cosa ha scoperto Jonathan Haidt (senza farci prendere dall’ansia!).
Ma quale è la definizione di brain rot data dai linguisti di Oxford?
«Il presunto deterioramento dello stato mentale o intellettuale di una persona, specificatamente come risultato di un consumo eccessivo di materiale (in particolare contenuti online) considerato superficiale o poco stimolante».
Brain rot viene perciò usato per descrivere sia la causa che l’effetto di questo fenomeno, riferendosi ai contenuti di scarsa qualità presenti online, ma anche all’impatto negativo che il consumo di tali contenuti ha sulla singola persona e sulla società. Non si tratta di una definizione scientifica, anche se le evidenze e le ricerche scientifiche recenti ne danno piena conferma.
Prima di conoscere il parere degli esperti, capiamo bene di cosa si tratta, come affrontarlo e quale è il suo legame con il gioco d’azzardo. Il brain rot infatti può avere connessioni con le dipendenze comportamentali che presuppongono un rapporto con il digitale, e l’azzardo è una di queste.
Da Oxford intanto ci fanno sapere che: «I nostri esperti hanno notato che brain rot ha acquisito nuova importanza quest’anno come termine utilizzato per esprimere preoccupazioni sull’impatto del consumo di quantità eccessive di contenuti online di bassa qualità, in particolare sui social media. Il termine è aumentato nella frequenza di utilizzo del 230% tra il 2023 e il 2024».
D’altronde, ormai sappiamo da tempo come le piattaforme digitali siano progettate appositamente per catturare e mantenere la nostra attenzione. Un buon approfondimento per stomaci e soprattutto cervelli forti è Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff. Funzionalità come lo scorrimento infinito manipolano il sistema di ricompensa dopaminergico del cervello, così da generare dipendenza. Tutto così lampante, eppure ancora poco noto, anche se tutti abbiamo a disposizione gli schermi da cui trarre le informazioni.
Sapevi per esempio che Tristan Harris, ex esperto di etica del design di Google (insomma un pezzo molto grosso della Silicon Valley), ha lanciato l’allarme, definendo questa dinamica una «corsa verso il fondo del tronco cerebrale» per attirare l’attenzione degli utenti? Eh sì, le aziende tech lavorano per entrarci in testa e ci stanno riuscendo molto bene.
Ma come sempre accanto ai problemi ci sono anche le soluzioni.
I quattro modi in cui il brain rot ci influenza
Il brain rot è dunque un termine generico utilizzato per descrivere una serie di sintomi cognitivi che si manifestano in seguito a un eccessivo utilizzo di dispositivi digitali e all’esposizione costante a informazioni frammentate e superficiali. Troppo contatto con la stupidità, accessibile 24 ore su 24, rapidamente e compulsivamente fruibile scrollando, diminuisce la nostra materia grigia e ci rende ansiosi. Addiritttura aumenta il nostro stress, proprio mentre ci svaghiamo… Un vero e proprio paradosso.
Ecco quattro modi chiave in cui il brain rot ci influenza:
- Riduzione della capacità di attenzione, perché contenuti brevi e frammentati abituano il nostro cervello a cercare gratificazioni immediate, rendendo difficile concentrarsi su attività che richiedono attenzione prolungata, come la lettura o la risoluzione di problemi complessi.
- Indebolimento del pensiero critico, perché lo srolling infinito attraverso contenuti superficiali erode le capacità di pensiero profondo e di analisi. Uno studio del 2023 pubblicato su BMC Psychiatry ha rilevato che gli utenti dei social media che soffrono di «paura di essere esclusi» (FOMO – Fear Of Missing Out) sono più inclini a distrazioni.
- Aumento di ansia e stress. Uno studio del 2022 ha rivelato che il consumo problematico di notizie è legato a cattiva salute mentale e fisica, anche tenendo conto della personalità e delle abitudini. Il ritmo frenetico della vita digitale sovraccarica il sistema nervoso, con cicli incessanti di informazioni e notifiche.
- Fatica emotiva. Uno studio del 2023 ha scoperto che fattori legati ai social media, come il sovraccarico informativo e le preoccupazioni per la privacy, insieme al cyberbullismo, portano a un esaurimento emotivo. Questo può tradursi in insensibilità emotiva o disimpegno, rendendo più difficile elaborare o sentire profondamente le emozioni.
- Isolamento sociale. Uno studio del 2018 ha suggerito che il consumo passivo eccessivo o le esperienze negative online contribuiscono a sensazioni di isolamento. Le interazioni digitali, infatti,l per lo più mancano della profondità delle connessioni reali.
Il gioco d’azzardo: un acceleratore del brain rot?
Lasciamo marcire il nostro cervello davanti agli schermi, perché siamo stanchi, agitati, tristi, nervosi… desideriamo, nei casi più felici, distrarci oppure, in quelli più complessi, fuggire da preoccupazioni e/o condizioni di vita faticose o dolorose.
Ecco perché il brain rot è un rischio anche per i familiari dei giocatori d’azzardo. In questo loop governato dallo scrolling infinio, gli schermi offrono la strada della fuga per non fare i conti con una realtà con cui sempre più persone hanno difficoltà a relazionarsi.
Ecco perché esiste un legame tra il brain rot e l’azzardo. Si tratta della ‘zona’ che ha descritto Natasha Dow Schüll, come la condizione di immersione totale in cui l’azione dell’utente (non più una persona, ma un consumatore spersonalizzato) si fonde perfettamente con la macchina, dissolvendo la percezione di sé. In questo luogo di alienazione si diventa vittime. E noi sappiamo che le dipendenze legate al digitale e alla vita online hanno un legame con l’azzardo. Per approfondire qui, qui e qui.
Inoltre il gioco d’azzardo, con le sue dinamiche impulsive e la ricerca costante della gratificazione immediata, può amplificare gli effetti negativi del brain rot, inducendo:
- Distrazione: Il gioco d’azzardo, sia esso online o dal vivo, richiede un’attenzione costante e distoglie da altre attività più costruttive.
- Decisioni impulsive: La componente aleatoria del gioco incoraggia a prendere decisioni rapide, impulsive e spesso irrazionali, senza considerare le conseguenze a lungo termine. Questa tendenza può essere amplificate da un cervello “stanco” e sovraccarico.
- Ricerca della gratificazione immediata: La vincita al gioco fornisce un’immediata sensazione di piacere, rinforzando comportamenti impulsivi e dannosi. È il loop della dopamina.
- Isolamento sociale: La dipendenza dal gioco può portare all’isolamento sociale e alla negazione della realtà, aggravando i sintomi del brain rot.
Le piattaforme di gioco d’azzardo online sfruttano meccanismi psicologici studiati per catturare l’attenzione degli utenti e mantenerli connessi più a lungo (connessi online e sconnessi dalla propria mente):
- con notifiche incessanti: le app inviano notifiche per ricordare bonus o nuove opportunità di gioco, alimentando l’ansia di “perdere un’occasione”, proprio
- con dopamina e ricompense: Ogni vincita, anche minima, rilascia dopamina, rafforzando il comportamento compulsivo.
Questi stimoli contribuiscono al brain rot, poiché sovraccaricano la mente con input continui, lasciando poco spazio al pensiero critico. Questo circolo vizioso aggrava l’incapacità di resistere alla tentazione di giocare.
I segnali del brain rot e come proteggersi
Le caratteristiche principali per riconoscere il brain rot sono:
- Concentrazione ossessiva: la mente è invasa da pensieri costanti su un particolare argomento o media, spesso a discapito di altre attività o interessi.
- Coinvolgimento emotivo intenso: si sviluppa un attaccamento che rende difficile
pensare ad altro, con un costante bisogno di consumare contenuti correlati. - Umorismo autodiretto: viene spesso usato per scherzare su sé stessi e sulla propria incapacità di “uscire” da una fissazione mentale.
Ecco allora alcuni sintomi legati al brain rot:
- Difficol
tà a staccarsi dagli schermi - Calo delle capacità di attenzione e memoria
- Comportamenti irritabili o impulsivi
- Declino delle relazioni familiari e sociali.
Il brain rot non è solo una questione individuale; coinvolge tutta la famiglia, soprattutto quando si lega al gioco d’azzardo online. Agire in tempo è fondamentale per interrompere un ciclo che può portare a conseguenze finanziarie e relazionali devastanti. Per non cadere nel loop del brain rot e per proteggere le nostre funzioni cognitive ci viene in aiuto lo psicologo Mark Travers che su Forbes consiglia quattro attività fondamentali da seguire:
- Curare una “dieta mentale” equilibrata, selezionando con attenzione i contenuti consumati online e dedicando l’80% del tempo a materiali educativi e stimolanti.
- Praticare una buona “igiene digitale”, impostando limiti di tempo per l’uso di app e dispositivi, pianificando ore senza tecnologia e dedicandosi al lavoro profondo senza distrazioni.
- Riconnettersi con esperienze analogiche come hobby manuali, interazioni faccia a faccia e immersioni nella natura, per contrastare l’affaticamento mentale da sovraesposizione digitale.
- Allenare la mente con un “cross-training cognitivo”, alternando attività che richiedono concentrazione e creatività per mantenere il cervello agile e stimolato.
Cosa ci dicono gli esperti sul brain rot
Brain rot è stato usato per la prima volta nel 1854, quando il filosofo Henry David Thoreau lo usò nel libro Waden per criticare la tendenza della società a svalutare le idee complesse a favore di quelle più semplici, segnalando un declino dell’impegno mentale e intellettuale. Oggi parliamo di pensieri lenti e pensieri veloci, come ci ha spiegato il premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman. Inoltre secondo il giornalista Kyle Chayka brain rot si può utilizzare anche per descrivere persone «completamente intossicate» da internet che parlano principalmente usando il gergo dei social, facendo riferimenti a meme e «approcciando il mondo come materiale buono per farci video per TikTok».
Intervistato dalla BBC News sul tema, il professore di psicologia Andrew Przybylski ha comunque sottolineato che non c’è nessuna prova del fatto che la putrefazione cerebrale sia effettivamente un disturbo e che bisogna interpretarla piuttosto come un termine che «descrive la nostra insoddisfazione e le nostre ansie nei confronti del mondo digitale».
Tuttavia in un articolo del New York Times, il pediatra Michael Rich, fondatore del Digital Wellness Lab, spiega che i suoi pazienti usano il termine brain rot per descrivere l’effetto di un eccessivo tempo trascorso in Rete: «La tua consapevolezza si sposta sullo spazio online rispetto a quello reale. Tutto viene filtrato attraverso la lente di ciò che è stato pubblicato e di ciò che può essere pubblicato».
In Italia Giuseppe Lavenia, psicologo e psicoterapeuta, presidente dell’Associazione nazionale Di.Te. (Dipendenze Tecnologiche, GAP e Cyberbullismo) ci dice che: «La parola “brain rot” fotografa bene un fenomeno che riguarda tutti noi: quando ci nutriamo di contenuti vuoti, privi di significato o di stimoli autentici, il nostro cervello si adatta al ribasso. È come alimentarsi solo di cibo spazzatura: nell’immediato soddisfa, ma alla lunga impoverisce. Così guardare continuamente video banali allena la mente a processare solo stimoli semplici e veloci, riducendo la nostra capacità di pensare in modo critico e creativo.Ogni scroll è un clic su un “interruttore mentale”: ogni volta che passiamo da un contenuto a un altro il nostro cervello riceve una microdose di dopamina, il neurotrasmettitore della gratificazione. Questo ci spinge a cercarne ancora e ancora, ma senza approfondire o soffermarci […[ In pratica, veniamo attratti non dal valore del contenuto, ma dalla facilità con cui possiamo accedervi e consumarlo. È come entrare in un negozio di caramelle: non tutte ci piacciono, ma la varietà e la possibilità di provarle senza sforzo ci spingono a continuare».
Demenza digitale e soluzioni
Alle soglie di un nuovo anno, abbiamo la consapevolezza che il rischio derivato dal consumo compulsivo di contenuti online sia reale. La scienza lo dice da tempo. Per esempio il fenomeno del brain rot è stato anticipato quasi 20 anni fa, quando gli scienziati hanno studiato gli effetti di una nuova invenzione chiamata “email”, in particolare l’impatto che un flusso incessante di informazioni avrebbe avuto sul cervello dei partecipanti. I risultati? Il sovraccarico cognitivo costante aveva un effetto più negativo che fumare cannabis, con una diminuzione media di 10 punti del quoziente intellettivo dei partecipanti.
Studio dopo studio emerge quanto siamo vulnerabili al brain rot indotto da internet: «Alti livelli di utilizzo di internet e il multitasking intensivo con i media sono associati a una diminuzione della materia grigia nelle regioni prefrontali». Earl Miller, neuroscienziato del MIT e massimo esperto di attenzione divisa, ha avvertito nel 2022 che stiamo vivendo in una «tempesta perfetta di degrado cognitivo».
La dottoressa Gloria Mark, professoressa di informatica all’Università della California e autrice di Attention Span, ha trovato prove di quanto drasticamente stia diminuendo la nostra capacità di concentrarci. Nel 2004, il suo team di ricerca ha scoperto che il tempo medio di attenzione su qualsiasi schermo era di due minuti e mezzo. Nel 2012, era sceso a 75 secondi. Sei anni fa, era a 47 secondi. «È qualcosa di cui penso dovremmo essere molto preoccupati come società», ha dichiarato in un podcast nel 2023.
L’aspetto più preoccupante del fenomeno descritto è l’effetto sui cervelli in via di sviluppo: alcuni accademici parlano addirittura di rischio di «demenza digitale» per i giovani esposti a un uso eccessivo della tecnologia durante gli anni cruciali dello sviluppo cerebrale.
La consapevolezza dei rischi del brain rot ha portato l’Australia ad approvare una legge severa che impone alle piattaforme digitali di vietare l’iscrizione ai propri servizi ai minori di 16 anni. In Italia, i primi interventi sono avvenuti nell’ambito scolastico, con il divieto di utilizzo dei devices anche per scopi didattici, mentre è al vaglio una proposta che strizza l’occhiolino all’Australia, che mira a limitare l’accesso ai social media per i minori di 15 anni.
Guardando indietro all’Oxford Word of the Year degli ultimi due decenni si può vedere la crescente preoccupazione della società per come le nostre vite virtuali si stanno evolvendo, il modo in cui la cultura di Internet sta permeando così tanto di ciò che siamo e di ciò di cui parliamo». Negli ultimi anni infatti molte delle parole dell’anno arrivano direttamente dal linguaggio utilizzato online e sui social network, spesso neologismi o comunque “derivati” di parole già esistenti cui viene attribuito un nuovo significato, non sempre del tutto aderente all’originale
Casper Grathwohl, presidente dell’Oxford Languages
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