Abbiamo cercato di immedesimarci in quello che succede al giocatore, non più sociale e saltuario, davanti a una slot machine, anche se la situazione è la medesima per ogni tipo di gioco sia fisico che online.
Abbiamo cercato di riprodurre quello che chi gioca prova, quando sta dentro la sua bolla, quella che ha analizzato e raccontato perfettamente la ricercatrice del MIT (Program in Science, Technology, and Society) Natasha Dow Schull in Architetture dell’azzardo, Progettare il gioco, costruire la dipendenza.
Dentro un flusso senza fine
Lei la chiama ‘la zona’, così come la racconta Mollie, ex giocatrice: «È come essere nell’occhio di un ciclone, ecco come descriverei la zona. Hai una visione chiara della macchina di fronte a te, ma tutto il mondo ti gira intorno e tu non sei in grado di sentire nulla, proprio nulla. Questo perché non sei veramente lì – sei con la macchina ed è l’unica cosa con cui stai». E ancora un altro ex giocatore che è stato intervistato da Natasha Dow Schull: «Quando sei alla macchina puoi cancellare tutto, puoi addirittura cancellare te stesso… Ero in grado di giocare in uno stato di quasi blackout per ore». «Era come se avessi appena abbandonato il mondo». «La mia vita era diventata una machine Life».
L’obiettivo a un certo punto non è più vincere, ma continuare a giocare in un flusso continuo e accelerato, senza fine, che accomuna tutti i tipi di gioco, sia fisici sia online. Le persone perdono in questo modo coscienza del tempo e dello spazio, mentre la loro capacità di prendere decisioni si affievolisce, man mano che cresce l’attività di gioco.
«La cosa che la gente non capisce è che io non gioco per vincere» confessa Mollie. Lo scopo di Mollie era quello di entrare in uno stato di immersione totale nel gioco, quasi di trance: «Continuare a giocare, rimanere nell’isolamento della slot, dove nient’altro conta», spiega Natascha Dow Schull. Mollie era entrata nella macchina e nella sua “zona affettiva”. Il non sentire per curare tutti i propri guai e la propria solitudine.
«Tutti noi pensiamo che il danno sia quanto denaro viene buttato via e che ciò che guida i giocatori patologici sia il desiderio di far soldi. Ma l’isolamento è veramente quello che guida la loro esperienza al gioco. L’idea di vincere denaro si frantuma quando arrivi al punto della dipendenza dal gioco». Una verità accertata dalla scienza come spiega Natasha Dow Schull in Architetture dell’azzardo, Progettare il gioco, costruire la dipendenza che accomuna tutti noi. Sì, anche se non giochiamo d’azzardo, ma ci estraniamo dal mondo navigando online o giocando ai videogiochi o continuiamo a scrollare post sui social network. «È il flusso dell’esperienza di gioco quello che le persone ricercano. Il denaro è un mezzo per stare seduti più a lungo a giocare, non il fine del gioco. Le persone non vogliono vincere il jackpot e andare via. Le persone vogliono vincere il jackpot e rimanere seduti fino a quando non se lo sono giocato tutto».
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