Margherita è figlia di un giocatore compulsivo. Da bambina lo vedeva come un eroe, l’uomo perfetto. Poi, a 16 anni, il crollo: scopre che quel padre distratto, nervoso e spesso bugiardo era in realtà schiavo del gioco d’azzardo, in particolare del poker. Una dipendenza che aveva cominciato a farsi strada da giovane, forse come rifugio da un dolore mai affrontato. Per anni in famiglia si respirano tensione, debiti, paura. La madre sempre sull’orlo di una crisi, le sorelle da proteggere e quel senso di colpa che si insinua: «Se fossi stata una figlia migliore, forse non sarebbe successo». Un pensiero devastante e, come Margherita capirà da grande, profondamente ingiusto.
Tutto cambia quando decidi di farti aiutare
Quando Margherita, in lacrime, implora il padre di farsi aiutare, qualcosa si rompe o forse finalmente si apre. Lui accetta. E inizia un cammino di cura insiema a Giocatori Anonimi (GA), mentre lei e sua madre trovano accoglienza nel gruppo Gamanon, per i familiari dei giocatori.
«Non è una favola: non c’è bacchetta magica. Ma c’è un percorso, lento, duro, fatto di cadute e di piccoli passi». Un cammino che ha permesso a Margherita di guardare suo padre con occhi nuovi: non più l’eroe perfetto, ma un uomo vulnerabile, che ha avuto bisogno di aiuto e ha trovato il coraggio di chiederlo.
Oggi, grazie alla sobrietà, quel padre è tornato a esserci: come uomo, come marito, come nonno. E Margherita ha trovato un nuovo modo di convivere con le ferite del passato, sapendo che non tutto si può guarire — ma molto si può trasformare.
Il suo messaggio? «La luce torna. Ma bisogna chiederla. Una mano c’è, per chi la cerca: 24 ore alla volta».
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