Si chiama come il mitologico dio del denaro. E non è un caso. Pluto è la comunità residenziale a Marano sul Panaro di Modena per giocatori d’azzardo patologici ideata e gestita dall’associazione Onlus “Centro Sociale Papa Giovanni XXIII” di Reggio Emilia, in collaborazione con la Regione Emilia Romagna.
Si tratta di una realtà finora unica in Italia.
Si chiama Pluto perché, come spiega Luca Righi, psicologo responsabile della struttura, «oggi il Disturbo da Gioco d’Azzardo rischia di venire normalizzato a livello sociale. Pensiamo per esempio ai nonni che giocano dal tabaccaio il gratta e vinci. Quello stesso gratta e vinci che è una delle maggiori cause di dipendenza e di perdita di denaro. Perché alla fine si arriva sempre allo stesso punto: il denaro». Come ha spiegato il dottor Caroni, fra gli ideatori di Pluto, nella stragrande maggioranza dei casi, la spinta iniziale a giocare viene proprio dal denaro. Vincere soldi è infatti una costante, presente sia quando il gioco è sociale (e dunque è uno strumento per acquisire denaro) sia quando il giocatore è problematico e quando diventa patologico (in questo caso il gioco stesso è lo scopo dell’azione).
«La normalizzazione dell’azzardo» continua Righi «è legata anche alla sua legalizzazione, esattamente come per l’alcol. I danni non vengono dunque percepiti nella loro reale dimensione e gravità, proprio perché l’azzardo è considerato un gioco, ormai socialmente accettato o comunque non demonizzato, quasi fosse una scelta individuale piuttosto che una responsabilità collettiva. Inoltre la ricerca di denaro porta alla solitudine sociale: i giocatori sono infatti molto abili a mentire per chiedere prestiti e questo porta inevitabilmente gli amici ad allontanarsi. E l’isolamento è spesso l’anticamera della depressione».
A Pluto arrivano persone come Luigi (il nome è di fantasia), 40 anni, con una carriera lavorativa ben avviata, condannato per truffa aggravata a fronte di un sovraindebitamento di oltre 200.000 euro, ovviamente a causa del gioco d’azzardo. Con lui «abbiamo svolto un lavoro anzitutto emotivo, dato che si era chiuso in se stesso, in una sorta di vortice psicologico che lo stava portando al tracollo, aggravato dall’abbandono da parte della famiglia. Uno degli elementi che portano a questa condizione di disperazione è la vergogna, un sentimento su cui noi lavoriamo molto». Il senso di colpa e la paura dello stigma sociale sono molto presenti, pur essendo paradossali in un contesto che dall’altra parte normalizza il gioco.
Non chiamatela però clinica, perché Pluto è una vera e propria casa. «La struttura residenziale accoglie giocatori e giocatrici esclusivamente con diagnosi di Disturbo da Gioco d’Azzardo, inviati dai Ser.D. e da altre comunità di tutto il Paese. Qui il percorso terapeutico e riabilitativo viene eseguito proprio attraverso la residenzialità, ossia la vita di tutti i giorni condivisa con altri giocatori e giocatrici, e con l’équipe di cura».
Pluto è una grande casa con 15 posti letto e la cucina in comune. Si mangia insieme e insieme si cucina e si tiene in ordine e pulita l’intera struttura. Proprio come a casa.
Come nasce Pluto?
Pluto nasce dall’evidenza di un bisogno, peraltro in crescita, legato al territorio. Noi siamo partiti a Reggio Emilia, ma strutture come queste sarebbero utili anche in altre Provincie e Regioni d’Italia. Il nostro percorso terapeutico è più breve rispetto a quelli canonici, ma più intesto. In base alla problematica le nostre persone in cura stanno con noi dalle 2 settimane ai 6 mesi massimo. In un a casa come Pluto il giocatore patologico trova un luogo in cui curarsi che in ogni suo aspetto, pensato e gestito in base alla dipendenza da gioco d’azzardo che per ognuno ha specifiche sfaccettature.
Cosa succede durante il periodo di vita in comunità?
Aiutiamo le persone a riprendere in mano la propria vita, attraverso le attività quotidiane. Per esempio molti hanno perso il ritmo circadiano, ossia sonno-veglia, a causa delle abitudini di gioco, oppure sono affetti da forme depressive, ovviamente legate al Disturbo da Gioco d’Azzardo, e quindi fanno fatica ad alzarsi dal letto e a compiere anche le più semplici azioni quotidiane. Abbiamo sperimentato come ristabilire la routine giornaliera sia un trattamento efficace. Inoltre a Pluto ognuno ha il suo compito – dalla cucina alle pulizie – e quindi la sua responsabilità. Ovviamente accanto a questo ci sono le terapie giornaliere che possono essere sia di gruppo che individuali.
Come è costituita l’équipe di Pluto?
Siamo quattro educatori e due psicologi tra cui io. Seguiamo in modo globale le nostre persone in cura, anche durante le uscite che si svolgono sempre in gruppo e con un operatore a cui è affidata la gestione economica. I giocatori patologici sanno benissimo come dovrebbero usare il denaro e la differenza che c’è fra bisogno e desiderio, ma, a causa dell’impulso indotto dalla patologia, la gestione del denaro è un grosso problema. Ecco perché appena hanno in mano del denaro, lo spendono. A Pluto lavoriamo molto su questo aspetto. Per esempio insieme facciamo la rendicontazione settimanale delle spese.
Quale è il ruolo della famiglia nel percorso di cura?
I familiari possono venire a trovare i proprio cari. Sappiamo ormai quanto sia importante, se non fondamentale in alcuni casi, l’appoggio e il sostegno della famiglia. Come per esempio nel caso di Andrea (il nome è di fantasia), 18 anni, gioca da quando ne ha 14. Ha cominciato con le scommesse sportive e la situazione è precipitata durante il lockdown. I genitori, per non vederlo peggiorare, hanno deciso di fargli perdere un anno di scuola per mandarlo da noi a Pluto. Qui sta migliorando, anche perché vede negli altri giocatori il futuro che potrebbe toccare a lui.
Chi altri avete in cura?
Accogliamo sia uomini sia donne dai 18 anni in su. Gli uomini sono in numero maggiore. Per le donne che sappiamo avere motivazioni e comportamenti in gran parte diversi dagli uomini rispetto al gioco d’azzardo abbiamo gruppi terapeutici ad hoc, cosi come nel resto della nostra cooperativa.
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