GIOVANNI ENDRIZZI. AZZARDO: FERMARE L’ESCALATION DELLE MAFIE NELL’OFFERTA STATALE

da | 10 Maggio 2023

Questo è il primo contributo di Giovanni Endrizzi, educatore professionale nel campo delle dipendenze patologiche, in particolare per quanto riguarda il gioco d’azzardo patologico, nel 2013 eletto al Senato della Repubblica nelle fila del Movimento 5 Stelle. 
È stato membro della 2ª Commissione permanente (Giustizia); vicepresidente della 12ª Commissione permanente (Igiene e sanità); vicepresidente della Commissione parlamentare di inchiesta sul gioco illegale e sulle disfunzioni del gioco pubblico; membro della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere, fino al 12 ottobre 2022.

Dagli anni Novanta abbiamo assistito alla continua diversificazione e capillarizzazione delle reti distributive legali di gioco d’azzardo, motivate sostanzialmente dagli assunti che liberalizzare una offerta statale avrebbe messo fuori gioco quella clandestina, ricavando una potente fonte di entrate per i bisogni erariali (ed elettoralistici). Qualche voce istituzionale ha persino ventilato che il gioco pubblico fosse sicuro anche negli impatti sulla salute.

Ebbene, partendo proprio dall’ultima: finora le persone giunte ai Servizi per le Dipendenze risultano ammalate, pressochè per la totalità, con il gioco d’azzardo legale. Prima dell’azzardo di massa i malati di azzardo in carico erano una casistica sconosciuta. (cfr. Dott. Maurizio Avanzi, 2017)

Vantaggi fiscali: per il 2021 è riportato un gettito di 8,41 miliardi, addirittura sotto il livello del 2015 che fu di 8,80 miliardi, mentre i volumi totali di azzardo legale sono passati in 8 anni da 88,2 a 110,4 miliardi.
Ora, considerando che l’impoverimento delle persone dipende dalle perdite di denaro, ma il disagio nelle famiglie e le patologie da gioco d’azzardo si correlano piuttosto al tempo trascorso attaccati fisicamente o col pensiero all’azzardo, per mantenere il medesimo livello di gettito erariale, in 8 anni abbiamo visto aumentare il potenziale patogenico dell’azzardo statale del 25%.

Quanto alle mafie, sul settore pubblico del gioco d’azzardo esse si sono letteralmente gettate fin dagli anni Novanta, per svariati motivi:

  • mettere la mani su un mercato in continua crescita, sia per l’ “induzione di domanda da eccesso di offerta”, sia per i massicci investimenti pubblicitari, che in quel periodo – è bene ricordarlo – erano  obbligatori per i concessionari;
  • le opportunità di riciclaggio dei proventi di altre attività criminali (che, per definizione, hanno bisogno di paraventi leciti per potersi ripulire);
  • il controllo del territorio che il controllo dell’azzardo consentiva;
  • lo sfruttamento dell’usura derivante dall’impoverimento di famiglie e imprese.

Già nella XVI legislatura la Commissione Bicamerale antimafia attenzionò e mise in luce alcuni fenomeni ed interessi mafiosi. Fece scalpore nel 2012 anche il dossier “Azzardopoli” di Libera che censiva 49 clan mafiosi con attività nel settore.

Nella XVII legislatura la Commissione ha esteso la ricognizione, concludendo che, con l’espansione dell’offerta legale, i proventi per le mafie erano verosimilmente aumentati e proponendo una serie di contromisure preventive, che non trovarono poi seguito parlamentare né governativo.

Nella XVIII legislatura appena conclusa, il IV comitato che ho avuto l’onore di coordinare, ha ulteriormente approfondito il tema e le evoluzioni in corso: il consumo minorile, l’analisi dei big data per l’individuazione di potenziali anomalie, l’evoluzione del mercato online, le difficoltà investigative, le contrattualistiche tra Stato e privati e i rapporti privato-privato all’interno delle filiere distributive, e ancora gli impatti della pandemia.

Partiamo dall’ultimo punto.

Grazie alle chiusure anti-Covid, il volume di puntate diminuì nel 2020 di circa il 30%. 

Anche a livelli istituzionali, avventatamente si sostenne che quei circa 30 miliardi fossero transitati pari pari nelle reti clandestine. Dovremmo dunque ritenere che per gli Italiani non facesse alcuna differenza giocare d’azzardo legalmente o meno? E che i controlli della stessa ADM e delle forze di polizia siano totalmente inefficaci?

A conferma del teorema circolarono anche report che censivano il numero di arresti, di rinvii a giudizio, processi e condanne, attribuendo l’incremento alle chiusure, in maniera palesemente errata, poichè, in primis, banalmente non si è tenuto conto delle caratteristiche delle indagini in questo settore: operazioni complesse, che richiedono ingenti mezzi e lunghi anni, per una serie di motivi:

  1. scarsità di denunce: chi gioca d’azzardo illegalmente non lo sa oppure collude;
  2. la scoperta di una rete mafiosa richiede che sia esplorata in profondità e per tutte le complesse concatenazioni e le figure coinvolte;
  3. sono attività poco appariscenti, raramente basate su complicità più che violenza ed assoggettamento; è una mafia che agisce con strumenti tecnologici informatici, più che con le armi;
  4. benchè sia impensabile che qualcuno raccolga azzardo illegale fuori dal controllo mafioso, le intercettazioni sull’azzardo non sono autorizzabili fino a quando non emerga la matrice mafiosa. Così, su quello che è più che un reato spia, magistratura e forze dell’ordine hanno meno strumenti e le indagini nascono come costole di indagini per altre vicende, quando dovrebbe poter avvenire anche il contrario.

Le indagini durano anche quattro, cinque, sei anni e le evidenze giudiziarie di oggi sono manifestazione dell’illegalità presente – e già in crescita – in epoca pre-pandemia.

Ed infatti dal copioso materiale raccolto dalla procura Nazionale, dalle Distrettuali, dalle Direzioni Investigative non emerge un comprovato aumento di illegalità causato dalle chiusure: «Sono ipotesi meramente presuntive», parole dell’allora Procuratore Antimafia Cafiero De Raho. Altrettanto dicasi per la legge di regolazione piemontese che ha ridotto i consumi del 30% e ridotto i malati, senza riscontri di aumento di illegalità derivata. La tesi deriverebbe, secondo i Monopoli, dalla natura anelastica della domanda, per cui la riduzione dell’offerta porterebbe a soddisfarsi in qualsiasi altro modo.

Ammesso e non concesso, va detto chiaramente: i prodotti a domanda anelastica sono tipicamente dei generi di prima necessità e dei consumi dettati da dipendenza. In entrambi i casi un dato scioccante.

Ma il desiderio compulsivo scompare quando si realizza l’impossibilità del consumo: fortunatamente, durante il lockdown gran parte dei pazienti ha riferito  di avere goduto di un periodo di benessere e risparmio.

Ma c’è un altro aspetto cruciale.

Recenti indagini, hanno portato alla luce un controllo capillare da parte delle mafie sulla distribuzione di slot machine, come nel territorio della provincia di Bari, al punto che il Procuratore Capo, Dott. Roberto Rossi, ha denunciato: «Non si può più parlare di infiltrazione: le mafie hanno assunto il controllo».

In Sicilia intere reti di ricevitorie di scommesse regolarmente autorizzate e gestite in concessione, tramite un collegamento dirottavano le puntate sui siti illegali e insegnando ai clienti ad utilizzarli da casa. La ricevitoria fungeva da punto di reclutamento e come centro di ricarica dei conti di gioco illegali, così come altri esercizi sul territorio dotati di un semplice collegamento internet.

Impossibile chiamarlo “gioco legale”; parte di quei proventi contribuiva a finanziare la latitanza di Matteo Messina Denaro. E non può essere un favore alle mafie chiudere sale scommesse controllate dalle mafie.

Non casi isolati: la Procura di Catania ha riferito di circa 400 ricevitorie sparse in diverse province delle Sicilia che applicavano questo “doppio gioco”. Se alcuni esercenti apparivano collusi con le cosche, altri potrebbero avere ceduto ad intimidazioni o essere stati all’oscuro di ciò che operavano i propri dipendenti. Questo apre la questione dei filtri antimafia.

Non può essere sufficiente una autodichiarazione “antimafia” da parte dei gestori; sui dipendenti poi non risulta alcun filtro, al punto che una associazione di categoria dei gestori ha dichiarato di accettare ben volentieri l’ipotesi di un controllo preventivo da parte delle questure.

Audito in commissione di inchiesta al Senato, l’allora Procuratore Nazionale Antimafia Cafiero de Raho disse che il gioco legale è antidoto per quello illegale se si fanno i controlli e se vengono fatti con frequenza.

Dal canto loro i Monopoli nel Libro Blu hanno riportato, sì, oltre 10.000 controlli sulla rete fisica, ma comunque a campione, ed è stato fatto osservare che, considerando il numero dei punti di offerta, avremmo mediamente un controllo forse ogni 8-10 anni.

Senza una drastica revisione dell’intero sistema, che estrometta efficacemente le mafie dall’offerta pubblica, il sistema concessorio sta perdendo il senso stesso della sua costituzione.

Le proposte dell’Antimafia giacciono pressochè inapplicate da anni ed anni:

  • tracciabilità dei flussi di operazioni tramite associazione con codice fiscale
  • rafforzare i controlli  sugli strumenti di pagamento elettronico e limitare il contante
  • innalzare la trasparenza sugli azionariati degli operatori del settore
  • massima trasparenza dei dati (FOIA)
  • estensione degli obblighi certificativi lungo la filiera
  • verifica sui requisiti sui dipendenti del settore
  • innalzamento delle pene edittali e/o autorizzazione alle intercettazioni
  • promuovere ulteriore collaborazione con polizia e magistratura estera specialmente per il controllo dei reati nell’online
  • misure che incentivino la denuncia (sul modello della legge antiusura)
  • aumentare la frequenza dei controlli / ridurre frammentazione reti offerta
  • contrasto ai conflitti di interesse anche a livello politico.

Perché da un lato si sia voluto ampliare a dismisura questo mercato e dall’altro omettere di adottare i controlli necessari è questione che meriterebbe una commissione di inchiesta.

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