È tutto successo per caso.
La pubblicazione del libro Azzardo per Einaudi e la dipendenza dal gioco.
Non in questo ordine.
Nel 2019 Alessandra Mureddu frequenta un corso di scrittura. Durante la lezione su come imparare a scrivere la propria biografia, viene dato un esercizio: scrivere un testo che riguardi la propria vita e che abbia anche un interesse generale. Alessandra, per la prima volta, racconta la sua storia di gioco. Questo racconto viene poi pubblicato online e intercettato dalla casa editrice Einaudi che le propone di farne un libro.
Azzardo è il libro d’esordio di Alessandra Mureddu che racconta gli otto anni della sua dipendenza dal gioco d’azzardo.
Come è cominciata questa storia di gioco?
Tutto ha avuto inizio perché mio padre era un giocatore patologico e mia mamma era preoccupata, quando non tornava a casa la sera; così mi chiamava spesso per andare a cercarlo. Mio papà era appena andato
in pensione e, trovandosi senza nulla da fare, è caduto nella trappola dell’azzardo. Io volevo capire bene che cosa gli stesse succedendo, non mi bastava andare a recuperarlo quando faceva tardi, e così ho cominciato
a seguirlo, fin dentro le sale slot. Non conoscevo questo ambienti, mi era capitato di giocare al casinò ogni tanto durante qualche vacanza, ma si era trattato di episodi sporadici, di quello che viene chiamato ‘gioco sociale’. Poi ho deciso di provare anch’io a giocare insieme a mio padre e, in breve tempo, sono rimasta intrappolata, proprio come lui.
Poi che cosa è successo?
Mio padre ha smesso, perché si è ammalato di demenza, io invece per diversi anni non mi sono riuscita a fermare. All’inizio ero sicura di poter controllare tutto, invece ho rapidamente perso il controllo sia del tempo che dei soldi.
Come sono stati gli anni della dipendenza da gioco d’azzardo?
Tutto quello che c’era fuori dalla sala slot a un certo punto non esisteva più per me, ogni cosa che non fossero le slot-machine aveva perso interesse e significato. Non avevo più una vita, perché era come se la mia volontà non esistesse più, come se una forza oscura, molto potente e molto più potente di me, mi conducesse sempre in quella sala slot.
Nessuna delle persone che la conoscono si sono accorte del suo problema?
Mia madre non aveva consapevolezza, tanto da non essersi resa conto nemmeno della gravità della situazione di mio padre. A lei interessava solo che lui tornasse a casa la sera. Per quanto riguarda gli amici, in particolare due di loro, solo dopo aver letto il libro, si sono chiesti: “Ma io dov’ero?”. Quello che facevo veniva scambiato
per un passatempo, sicuramente eccessivo, ma non certo per una malattia, piuttosto per un vizio. Di fatto
ero sola, ma nello stesso tempo ero io che per prima mi isolavo, diradando sempre più le mie relazioni sociali.
Per quanto tempo ha giocato in modo patologico?
Ho giocato per otto anni e sono stata dipendente dal gioco d’azzardo per otto anni.
Il lavoro ne ha risentito?
Incredibilmente sono riuscita a conservarlo, perché ero organizzata, potrei dire in modo compulsivo-ossessivo. Di fatto conducevo una doppia vita. Se il lavoro l’ho mantenuto, i rapporti sociali invece sono stati quasi tutti distrutti. Oggi continuo a lavorare come impiegata nel settore della contrattualistica nella stessa concessionaria di sempre che si occupa, ahimé, anche di giochi d’azzardo. Io non me ne occupo direttamente, ma, da quando ho smesso di giocare, sento questa situazione come una contraddizione. Tuttavia il lavoro mi serve anche perché negli anni ho perso davvero tantissimi soldi e non posso permettermi di non lavorare.
Oltre a questa contraddizione, vivo anche quella di chi, ogni giorno, vede un’offerta sempre più capillare
e pervasiva di gioco d’azzardo sia online che offline, mentre le politiche sono inefficienti e inefficaci.
A cosa servono per esempio i cartelli sulle macchinette nei bar che consigliano al giocatore di fare una pausa ogni 30 minuti? Chi gioca non ha più riferimenti temporali!
Qual è stato il momento peggiore dei suoi otto anni di dipendenza dal gioco d’azzardo?
Come ha fatto uscire dalla dipendenza da gioco d’azzardo?
Proprio quando ho toccato il fondo, in particolare il giorno in cui un cassiere della sala slot mi ha indicato una donna che stava attaccata alla sua slot-machine. Era una signora della Roma bene che, per racimolare il denaro così da continuare a giocare, si prostituiva nel bagno della sala slot. In quel momento mi sono davvero spaventata e mi sono chiesta: Quale sarà il mio ultimo fondo?
Quando sono arrivata a vendere gli ori di famiglia, restando poi senza più nulla, senza nemmeno i soldi per mangiare. Ero arrivata al punto di finire lo stipendio in due giorni. Inoltre continuavo ad ingrassare, tanto da aver preso 20 kg così da innescare un’altra dipendenza, quella da cibo compulsivo.
Per 8 anni ho dimenticato tutto di me, non solo delle mie relazioni, ma anche del mio corpo che ho lasciato là, sullo sgabello su cui ogni giorno mi sedevo per giocare alla ‘mia’ slot-machine.
A quel punto che cosa è successo?
Ho cominciato a chiedere aiuto in ambito medico, ma non è stato facilissimo trovarlo. Poi per fortuna ho incontrato l’associazione Giocatori Anonimi. Oggi non gioco dal 2019 e continuo a frequentare l’associazione dei Giocatori Anonimi sia perché è un aiuto imprescindibile per me sia perché, in qualche modo, restituisco ai nuovi arrivati un po’ di quell’aiuto che è stato dato a me.
Perché ha deciso di scrivere il libro Azzardo?
Perché spero possa essere utile. Durante le presentazioni mi si avvicina sempre qualcuno che condivide il problema di un familiare o di un amico.
Fra le tante possibilità come definirebbe prima di tutto il gioco d’azzardo?
‘Gioco autistico’ perché non esiste più niente intorno al giocatore. Ne ho incrociate tante di storie come per esempio quella di un giovane marito che lasciava il figlio piccolo nel seggiolino in auto per venire a recuperare la giovane moglie che non riusciva a staccarsi dalla sua slot machine…
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