Talvolta ci vogliono perseveranza e pazienza perché le cose buone accadano e i sogni si realizzino.
Lo sa bene Cristina Perilli, psicoterapeuta, responsabile di Spazio Gio, frutto di una sua idea di molti anni fa che si è recentemente concretizzata grazie ad ATS Milano con la nascita di 5 “Sportelli GAP” di cui 3 a Milano presso gli ospedali: Niguarda, Fatebenefratelli e San Carlo.
Si tratta di sportelli informativi e di primo contatto per le persone che presentano comportamenti di gioco problematico o patologico e per i loro familiari. È allestito appositamente nelle aree di maggior afflusso
degli ospedali, proprio per intercettare più facilmente le richieste d’aiuto. Lo sportello ha così modo
di raggiungere un target di popolazione estremante variegato, e in particolare quella utenza che difficilmente chiede aiuto ai SerD. Soprattutto giovani e donne.
Lo sportello Spazio Gio presso l’ospedale San Carlo, è un luogo di intercettazione di un bisogno e di intermediazione sul territorio per soluzioni condivise, aperto tutti i giorni e in contatto con tutti i SerD e gli SMI della Lombardia, ma anche a livello nazionale, in caso di utenti che provengono da altre Regioni.
«Ai servizi per le dipendenze arrivano pochissime donne e quasi nessun giovanissimo» ci spiega Cristina Perilli «in generale poi, le richieste di aiuto sono minime rispetto alla diffusione del problema: gli accessi dell’utenza infatti non aumentano proporzionalmente all’incremento del numero dei giocatori».
Inoltre «spesso i giocatori d’azzardo che arrivano ai SerD sono ormai in situazioni drammatiche».
Una persona su tre in Italia ha problemi con il gioco
Secondo i dati dell’Istituto Superiore di Sanità 1 persona su 2 della popolazione italiana gioca; stiamo parliamo
di una percentuale del 43,7%. Certo, non tutti sono giocatori problematici, eppure in pochissimi anni si è passati da 1 persona su 10 con problemi di gioco d’azzardo a 1 su 3, dunque il 29,8% della popolazione italiana gioca d’azzardo in modo problematico o patologico.
Perché le persone non chiedono aiuto ai Ser.D e agli altri servizi sul territorio
I numeri spesso raccontano molto più delle parole, ma non basta fermarsi qui.
Cristina Perilli e i suoi colleghi sono andati oltre, interpretando i dati: «Ci siamo chiesti perché
le persone faticano a chiedere aiuto ai Servizi
per le Dipendenze.
Sulle donne sappiamo che vige ancora lo stigma della vergogna sociale.
Per quanto riguarda invece i giovani, non hanno consapevolezza né reale comprensione del problema:
anche quando giocano d’azzardo in modo problematico o già patologico, infatti, tendono a sottovalutare
la gravità del proprio comportamento.
Il fatto poi che il gioco d’azzardo in Italia sia legale e che i controlli (dovuti per legge) per impedire ai minorenni di giocare siano quasi del tutto inesistenti, non facilita la presa di coscienza di avere sviluppato un problema. Infine moltissime persone non sanno neppure dell’esistenza dei SerD che sono ancora connotati come i luoghi di cura per i tossicodipendenti».
Per tutti questi motivi da anni Cristina Perilli ha avuto chiara la necessità della creazione di luoghi specifici sul territorio per i giocatori e le giocatrici problematici e patologici.
La risposta di Spazio Gio
Spazio Gio risponde all’esigenza di avere luoghi specifici per la presa in carico di situazioni problematiche legate al gioco d’azzardo. Nasce infatti proprio come sportello di aggancio in un luogo neutro come l’ingresso
di un grande ospedale, dove è più facile intercettare in modo precoce chi inizia ad avere un problema col gioco d’azzardo, ma anche chi ha già sviluppato una dipendenza, rovinando se stesso e la sua famiglia, per poi accompagnarlo ai Ser.D/SMI.
Per molto tempo il progetto della dottoressa Perilli è stato in stand by per mancanza di fondi; quando finalmente sono arrivati, l’intuizione di Cristina ha dimostrato di essere non solo valida, ma anche ‘esportabile’
in altri territori. Spazio Gio fin da subito ha intercettato molte persone che accettano di fare un colloquio approfondito in cui raccontano la loro storia personale «perché il gioco d’azzardo è solo la punta dell’iceberg di un problema molto più profondo; a volte si accompagna anche ad altre dipendenze.
Spesso, inoltre, i comportamenti di gioco d’azzardo patologico, si “nascondono” dietro altri problemi e non sempre gli operatori a cui si rivolgono gli utenti indagano a sufficienza tale aspetto.
Per esempio ricordo un signore di mezza età che aveva tentato il suicidio e la motivazione in cartella clinica diceva: solitudine. Quando il medico del reparto è passato davanti al nostro sportello, è stato colto
da un sospetto. È tornato dal paziente e, con una indagine più approfondita sulla sua storia personale,
è emersoche il reale motivo del tentato suicido era il gioco d’azzardo: il signore aveva dilapidato i propri risparmie si giocava la pensione, tanto che ormai era ridotto a chiedere in prestito i soldi per mangiare».
Per tale ragione gli operatori dello sportello si impegnano anche a fornire incontri di aggiornamento
e formazione non sono solo al personale ospedaliero della ASST in cui operano, ma anche a varie realtà territoriali tra cui i Municipi di Milano e i Centri Psico Sociali.
«Quello che ci preme è far capire, sia ai pazienti sia agli operatori, che il gioco d’azzardo problematico/patologico non è un vizio, ma una vera e propria malattia che si può curare e che ci sono luoghi e persone a cui ci si può rivolgere per chiedere aiuto; se lo si desidera, anche in maniera anonima. Quando le persone arrivano a comprendere di aver sviluppato una dipendenza e non di avere un vizio che “posso smettere quando voglio”, accettano di iniziare il percorso terapeutico».
Dopo un primo colloquio presso lo sportello, si attiva il “protocollo di invio” al SerD/SMI. Tale servizio di cura, non viene scelto solo in base alla vicinanza al domicilio del paziente, ma anche tenendo in considerazione le specifiche esigenze della persona e la tipologia di offerta dei vari servizi di cura.
Segue poi, da parte di Spazio Gio, il monitoraggio del percorso del paziente: dal primo colloquio presso il servizio di cura a cui è stato inviato, al follow up a 1 e 6 mesi.
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