Il progetto A Carte Scoperte di Fondazione con il Sud coinvolge contemporaneamente più realtà sociali che si occupano di gioco d’azzardo e che operano sull’intero territorio della Regione Calabria.
Il Centro Calabrese di Solidarietà partecipa al progetto A Carte Scoperte con:
- il Punto Antiusura che si avvale della competenza di un avvocato e di un consulente finanziario (leggi l’intervista a Carmen Locandro)
- i percorsi riabilitativi semi-residenziale e residenziale (leggi l’intervista a Francesco Piterà)
- il Punto Rosa che coinvolge le donne che subiscono il gioco dal figlio o dal partner di cui ci parla Assunta Cardamone, psicologa e psicoterapeuta, responsabile della Casa Rifugio Antiviolenza ‘Mondo Rosa’.
Qui «accogliamo le donne che sono madri o compagne di ragazzi e uomini con disturbo da gioco d’azzardo o con dinamiche di gioco problematico» spiega Assunta Cardamone.
Il progetto è strutturato in modo da seguire gruppi di massimo 6 persone per 6 incontri legati alla violenza di genere, durante i quali «si creano relazioni, grazie alle quali le donne riportano e fanno emergere le dinamiche che i figli o i partner instaurano con loro,
a causa della dipendenza da azzardo, e che portano violenza psicologica, verbale e a volte anche fisica».
Ci sono, infatti, madri che subiscono i ricatti morali dei figli che, per esempio, «minacciano di abbandonare il percorso di cura, se la mamma non rifà il letto, non prepara da mangiare ecc.
A questo si aggiunge un senso di impotenza, in quanto spesso i figli con addiction da gambling fanno sentire le madri incapaci».
Come mai si instaurano queste dinamiche?
Il disturbo da gioco d’azzardo acuisce ed esaspera i rapporti, soprattutto in contesti già segnati da atteggiamenti e dinamiche di violenza, psicologica e/o fisica. Molte di queste madri inoltre sono separate e sole nella crescita dei figli e non poche sono state vittime di partner violenti.
Come è il rapporto con i partner maschi che hanno problemi con l’azzardo?
Ancora più complesso di quello con i figli. Se le madri sono generalmente più decise nel muoversi per aiutare il figlio, le fidanzati, le mogli e le compagne tendono a giustificare il partner, perché vogliono salvare il rapporto di coppia e la famiglia. Mi sono sentita dire spesso: “Poverino, è malato”. Alla base c’è sempre un ricatto da parte dell’uomo che agisce sul senso di colpa e di responsabilità della donna. Si tratta di una dinamica psicologica molto importante che però non è stata ancora sufficientemente studiata. Quando e come la donna diventa consapevole e smette di essere vittima? Quando e come la donna diventa salvatrice, senza però essere crocerossina? Queste sono domande essenziali.
Anche perché la pratica clinica dimostra come il ruolo della donna sia fondamentale nel percorso di cura del figlio e del partner.
Certamente. Ma deve essere portato avanti da una donna che non è vittima di violenza, che è in grado di autodeterminarsi, che abbia in mano o che abbia ritrovato la propria identità. In questo modo può essere davvero d’aiuto. Spesso invece la dinamica che si instaura in una donna abituata a subire violenza è rifiutarsi di riconoscerla.
Voi come lavorate?
Quello che noi facciamo al Centro Calabrese di Solidarietà e al Punto Rosa, anche grazie al progetto A Carte Scoperte, è aiutare le donne a riconoscere quello che stanno subendo e quindi accompagnarle a reagire. Per prima cosa appropriandosi della consapevolezza di valere, di avere delle capacità e delle competenze. Purtroppo in Italia ci sono ancora pochi luoghi che si occupano in modo specifico di questa problematica e pochi studi che la analizzano.
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