Non serve essere muniti di macete e conquistare ettari di foresta pluviale per essere un pioniere.
Ci sono molti altri modi per aprire nuove strade e generare cambiamento. Graziano Bellio è stato un apripista nella cura e nello studio del Disturbo da Gioco d’Azzardo, quando ancora non si chiamava nemmeno ludopatia.
Medico psichiatra, dal 1989 ha lavorato presso
il servizio dipendenze e il servizio di alcologia
del dipartimento per le dipendenze di Castelfranco Veneto (TV) di cui è stato direttore.
Comincia a occuparsi di DGA nel 2001, quando ancora l’addiction da azzardo non fa parte dei
LEA, i Livelli Essenziali di Assistenza.
Nel 2002, con l’aiuto della collega psicologa Amelia Fiorin, apre l’Ambulatorio Specialistico per il Gioco Problematico nel SerD di Castelfranco Veneto. Qui coordina il gruppo di ricerca veneto sul gioco d’azzardo patologico e collabora con la Regione del Veneto, con l’Istituto Superiore di Sanità e con diversi progetti nazionali. Nel frattempo è presidente di ALEA l’Associazione per lo studio del gioco d’azzardo e dei comportamenti a rischio nel biennio 2011-2012.
Oggi si occupa della formazione degli operatori dei servizi pubblici e privati dei dipartimenti dipendenze e dei dipartimenti di salute mentale in tema di disturbo da gioco d’azzardo.
Fa inoltre parte della redazione di ALEA Bulletin e del comitato scientifico della rivista Dal Dire al Fare.
«Già dal 1999 ho cominciato a interessarmi dell’aspetto patologico dell’azzardo, perché ho avuto i primi contatti con i familiari di alcuni giocatori che si erano rovinati con il gioco» ricorda il dottor Bellio.
«Ci siamo impegnati per rendere il lavoro terapeutico sempre più aderente a quelle che sono le ultime ricerche scientifiche, adottando un protocollo di lavoro e un sistema di valutazione standardizzato,
basati sulla concezione dell’azzardo problematico come dipendenza». Tutto questo quando ancora
il DGA non faceva ufficialmente parte del capitolo delle dipendenze nel Manuale diagnostico e statistico
dei disturbi mentali (DSM).
la cura prevede la conoscenza della storia del paziente
Il grande lavoro terapeutico del dottor Bellio continua a dare i suoi frutti oggi nella formazione
«dei colleghi dei SerD. Quello che si cerca di fare, pur nella grande difficoltà che sta vivendo il nostro sistema sanitario nazionale, è avere attenzione alla diagnosi e anche alla storia del paziente, facendo domande
sulla sua situazione familiare e lavorativa, ma anche sulle sue relazioni, così da poter mettere in atto
un programma terapeutico personalizzato. È importante infatti avere ben chiaro che non si può trattare solo
la dipendenza, ma anche bisogni di salute più generali, tra i quali quelli di natura sociale».
dopo il covid una nuova epidemia: quella del gioco online
l lavoro di studio e di ricerca scientifica del dottor Bellio negli ultimi anni si è concentrato sul gioco online.
«Lo sto studiando con particolare attenzione, in quanto sta prendendo sempre più piede, soprattutto dopo
il COVID. Il gioco online è cominciato nel 2010 e progressivamente si è ampliato sempre di più, integrandosi nella nostra quotidianità. D’altronde l’era digitale che stiamo vivendo sta delineando un cambiamento epocale dal punto di vista antropologico. Un aspetto cruciale che riguarda il gioco online è la sua rapidità di diffusione. Basti pensare che fino a pochissimi anni fa le slot-machine fisiche erano responsabili del 50% degli introiti complessivi del gioco legale. Dopo il COVID il fatturato del gioco online ha superato quello fisico.
Il sorpasso è avvenuto nel 2020 e si è definitivamente consolidato l’anno successivo».
lo stato invece di far parte della cura, è parte del problema
Si tratta di una vera e propria pandemia, difficile a arginare: «Finché lo Stato rappresenta una parte interessata e continua a ritenere l’azzardo fonte di introiti, non se ne esce. Lo Stato dovrebbe essere super partes e invece è una parte interessata. È dunque velleitario pensare a forme di prevenzione parcellizzate, perché quella vera, ossia quella che incide sui grandi numeri, non può essere soddisfatta dalle iniziative
dei vari enti e associazioni, ma solo dalle politiche. Esattamente come avviene per l’alcol e il tabacco.
È un dato che, da quando il fumo è stato proibito il fumo nei luoghi pubblici ci sono meno fumatori.
E poi c’è anche l’altro grande tema, ossia che la maggior parte degli introiti derivanti dal comparto del gioco d’azzardo arrivano dal 10% dei giocatori, ossia dai giocatori patologici. Questo significa che anche lo Stato, insieme all’industria dell’azzardo, guadagna dai cittadini e dai consumatori che si ammalano.
Non dimentichiamoci poi di tutta la popolazione che non gioca eppure subisce le conseguenze sociali ed economiche dell’azzardo. Mentre rimane ancora enorme il sommerso di chi non chiede aiuto. Infatti una percentuale veramente ridotta di persone si rivolge ai SerD, perciò i problemi legati alla loro patologia rimangono nella società, anzi sulle spalle della società e delle famiglie.
Servono dunque politiche che prendano in carico, in modo organico e completo, l’intero fenomeno del gioco d’azzardo, non soltanto quello patologico. Per prima cosa vanno stabilizzati finanziamenti, erogando fondi dedicati per la cura anziché rinnovandoli di anno in anno, in modo da garantire una continuità terapeutica, altrimenti tutti noi operatori sanitari possiamo ragionare solo nel breve periodo e questo non permette di sviluppare competenze sufficienti e progetti a lungo termine».
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