Relazioni autentiche, antidoto alle dipendenze: intervista a Sarantis Thanopulos

da | 18 Aprile 2025

Come coltivare relazioni autentiche. Non vogliamo fare filosofia spiccia né parlare di aria fritta, ma contribuire a dare una mano a chi ogni giorno deve affrontare le conseguenze drammatiche dell’azzardo (in particolare ai familiari di giocatrici e giocatori compulsivi) anche con incontri (seppur virtuali nello spazio di una intervista).

Lo abbiamo ascoltato durante la sua recente partecipazione a Cambio Gioco: Sarantis Thanopulos è uno psicoanalista e psichiatra che ha affrontato un tema molto urgente della complessità contemporanea. Appunto come coltivare relazioni autentiche.

Sarantis Thanopulos è membro ordinario con funzioni di training della Società Psicoanalitica Italiana (SPI) di cui ha ricoperto la carica di presidente; nel corso della sua carriera ha affrontato temi quali la psicoanalisi delle psicosi, il desiderio, la legge e le dinamiche del lutto, contribuendo significativamente al dibattito psicoanalitico contemporaneo. Recentemente, ha riflettuto sull’impatto della cultura digitale e dell’intelligenza artificiale sulla vita umana, evidenziando come queste possano minacciare la nostra connessione con la dimensione sensoriale ed erotica delle relazioni.

Dunque, come si fa a coltivare relazioni autentiche che possono letteralmente salvarci la vita? 

Non c’è un modo diretto di coltivare relazioni autentiche, nel senso di stabilire a priori cos’è autentico e cosa no, quasi progettarlo. Bisogna dire, tuttavia, che c’è una tendenza naturale in noi a cercare esperienze fondate sull’intensità, la profondità, la varietà e la persistenza del piacere sensuale che ci procurano (nel fare l’amore, ascoltare una musica, leggere un libro, godere di un bicchiere di vino, di un cibo o di una bella passeggiata). Queste esperienze che coinvolgono e trasformano tutta la nostra materia psicocorporea, e ci fanno sentire vivi, sono il fondamento dell’autentico in noi. E dipendono dalla nostra relazione, diretta o indiretta, con gli altri e con il mondo. Siamo autentici, se abbiamo relazioni autentiche in cui sono significativi sia il dolore per la perdita dell’altro sia il piacere del suo ritrovamento. Relazioni in cui è necessario un lavoro di trasformazione reciproca che rinnova l’intesa e l’allontana dall’abitudine e dall’assuefazione. Ciò che si oppone all’autentico non è la sua mancanza, ma la sua mistificazione: la sua sostituzione con pratiche di eccitazione e di distensione calmante (anestetica) dalle quali si finisce per dipendere anche quando la dipendenza non prende forme chiaramente riconoscibili e diagnosticabili.

Cosa fare nella pratica?

Anzitutto farsi guidare dall’intima percezione personale di ciò che esperiamo. Siamo sempre in grado di distinguere tra ciò che è “vivo” e ciò che è “morto”. Sentiamo sempre la puzza di ciò che andato a male, anche quando la copriamo con tutti i profumi del mondo. Viviamo esperienze eccitanti, “vitalizzanti” o pacificanti, ma sentiamo l’insoddisfazione serpeggiare dentro di noi. È importante lasciare che questa insoddisfazione ci interroghi, che non la tacitiamo (il punto di ingresso nelle dipendenze).
Poi serve imparare a distinguere tra l’ansia di vivere e l’ansia di non vivere che spesso confondiamo. La prima è associata all’idea del “terremoto”, la seconda è associata alla sensazione di “oppressione”, di “compressione”. Riconoscere nella seconda un desiderio che lotta per vivere, può incoraggiarci a non avere paura delle nostre emozioni, a farle respirare.
Quindi desistere da rapporti e situazioni il cui scopo reale è che tutto resti com’è, che nulla in noi cambi. Il che significa diffidare della “resilienza”: il tornare sempre al punto di partenza. Il materiale più resiliente infatti è la gomma che una volta piegata torna sempre allo stato di prima, immune alle trasformazioni e ai cambiamenti, quando invece è necessario mettersi in gioco. In un tempo difficile come il nostro oggi è importante resistere alla rassegnazione e alla tentazione di adattarsi al sempre peggio Resistere alla tentazione del vivere per evadere, distrarsi dalle complicazioni della vita affettiva. Tentazione che ci porta a investire nelle relazioni in maniera dispersiva o chiudersi in una “confort zone”. Soprattutto: farsi lasciare commuovere, coinvolgere dalle cose che desideriamo e dalla bellezza del mondo. La commozione (che mette insieme il contrasto e l’armonia, l’attesa e la sorpresa) ci fa conoscere la vita nell’unico modo per noi significativo: facendola diventare parte del nostro modo intimo di sentire, pensare e essere.

Come questo è possibile nel mondo digitale e con l’AI che è entrata nelle nostre vite?

L’interazione con l’AI è già in atto. Poiché se ne fa, molto impropriamente, uso per tutte le cose che dovrebbero essere intime e personali (fuori dalla sfera del calcolo e dell’apparato logistico dell’esperienza) e poiché con il suo funzionamento anaffettivo molti si identificano, per proteggersi dal dolore, spesso è l’AI a parlare nelle comunicazioni.
Consiglio dunque di frequentare i luoghi conviviali (i teatri, i cinema, i caffè, le sale dei dibattiti e dei concerti, i musei, le gallerie espositive, le librerie) in cui si incontrano gli sguardi e respirano insieme i corpi, le emozioni e i pensieri. Fondamentale è coltivare l’amicizia, la frequentazione da vicino con le persone care.

Come declinare i suoi consigli in particolare per le relazioni familiari, soprattutto in presenza di un parente con una dipendenza comportamentale come quella da azzardo?

La dipendenza dal gioco d’azzardo non è un difetto comportamentale, ma un tentativo di risolvere sul piano dell’azione qualcosa di molto doloroso sul piano psichico. Quindi il comportamento improprio, sconveniente per sé e per le persone care, non può essere corretto in quanto tale, perché al giocatore verrebbe a mancare la valvola di sfogo di una tensione emotiva ingestibile. La comunicazione del giocatore con i suoi familiari diventa un “dialogo tra sordi”, perché basata sull’incomprensione reciproca. La concessione di fiducia da parte dei familiari non serve granché, è destinata a essere tradita ripetutamente. Le promesse non vengono mai mantenute. La benevolenza dei familiari è vissuta come debolezza e aumenta nel giocatore la convinzione inconscia che prendere le cose dagli altri e dalla vita è appropriazione indebita. La fame del suo desiderio insoddisfatto è pari alla sua convinzione che la “proprietà è furto”. Solo apparentemente risolve, affidandosi al caso, questo conflitto insanabile tra la sensazione di essere stato derubato del suo diritto al benessere e la sensazione di essere un ladro. Insegue, in realtà la strada della povertà che lo assolve dal peccato dell’avidità e lo riversa sugli altri. Tutto sommato è un moralizzatore. La superiorità morale che coltiva dentro di sé lo protegge dal senso di colpa di danneggiare con il suo comportamento i suoi cari. Un atteggiamento fermo nei suoi confronti, la assunzione di misure efficaci che gli impediscono di trascinare nella rovina la famiglia, servono molto più delle “belle parole” per mettere un argine all’angoscia che il suo desiderio sia un pericolo per sé e per gli altri. Solo questo argine consente un reale avvicinamento affettivo tra il giocatore e i suoi famigliari e il possibile ripristino di una comunicazione reale in grado di farsi carico del suo dolore come dolore condiviso da elaborare insieme.

Come affrontare lo scarto generazionale anche alla luce dei numeri che rimandano un’immagine della Gen Z fragile? È davvero così? Se sì, perché e come porvi rimedio?

La generazione degli adolescenti che hanno vissuto la pandemia è molto fragile. Gli è stato tolto lo spazio della convivialità in cui si creano legami di solidarietà, si condividono valori etici in via di formazione, idealizzati, ma affettivamente e intellettualmente molto investiti, si organizza la loro protesta generazionale, si mette in discussione il modo di sentire, pensare e agire degli adulti.
Soprattutto si sperimenta la loro sessualità, la loro identità e il loro orientamento sessuale. L’adolescenza è uno spazio di transizione dall’infanzia alla vita adulta, richiede un’elaborazione del lutto associato alla perdita dei riferimenti corporei, affettivi, mentali e identitari dell’infanzia, la sua elaborazione attraverso le relazioni di amicizia, i primi scambi erotici e l’accesso all’universo culturale. L’isolamento sociale è stato incrementato durante la Pandemia, ma le preesisteva. Continua a espandersi tra i giovani in modi meno visibili, ma più pervasivi. Negli Stati Uniti una ricerca ordinata dal governo ha stabilito che la lunga esposizione degli adolescenti alla comunicazione online crea danni al cervello. Non sorprende affatto che la sessualità giovanile sia in grande crisi, che i disturbi identitari siano in continuo aumento, che la depressione sia molto diffusa tra i giovani, che il suicidio sia la seconda causa di morte per loro, dopo gli incidenti stradali (a volte forme mascherate di suicidio). La situazione si aggrava molto con le terapie online e le tantissime terapie fatte in casa con l’AI. Che fare? Portare i giovani fuori dallo spazio virtuale.

Gli adulti non soffrono a loro volta di fragilità? Quali sono le relazioni autentiche che dovrebbero coltivare?

Gli adulti nascondono la loro fragilità, non ne prendono cura. Non prendono cura dell’amicizia, delle relazioni di lavoro, delle loro relazioni affettive. Vivono distrattamente. Cosa dovrebbero fare: uscire dall’ anestesia.

Uno dei suoi temi di studio portanti è il femminile. Entrando nello specifico in argomento dipendenze e azzardo, cosa ci può dire della differenza di genere nell’ammalarsi di addiction? Secondo lei ci sono modi diversi di curare donne e uomini?

Nell’ammalarsi di addiction non ci sono differenze tra uomini e donne. In entrambi la dipendenza da sostanze, dal sesso, dal gioco d’azzardo, dall’internet, dalle relazioni tossiche, è correlata a una vulnerabilità del femminile che rende molto difficile sostare nell’esperienza del pieno godimento dell’esperienza erotica, affettiva, mentale e culturale. Il godimento pieno, profondo, coinvolgente della vita è sostituito da dispositivi di distrazione e evasione. Nel passato le donne erano più protette, ma la novità di questo nuovo millennio è che anche le donne si stanno “mascolinizzando”. Restano sicuramente più resistenti degli uomini. Con loro si può sperare.

 

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