Gioco d’azzardo patologico: il ruolo della famiglia nel percorso di recupero

da | 31 Gennaio 2025

«Mi ricordo un mio paziente, giocatore d’azzardo compulsivo, che aveva perso quasi tutto il patrimonio di famiglia alle slot machine. Aveva un figlio che accompagnava ogni giorno a scuola. Alle elementari ci andava in Porsche, ora delle superiori, salutava il figlio dal finestrino di  una utilitaria di seconda mano. Negli anni questo padre affronta un percorso di recupero, supportato anche dalla moglie. Quando una mattina chiede scusa al figlio, a causa del basso tenore di vita a cui ha costretto la famiglia, il ragazzo risponde: “Papà, ma io sono molto più contento adesso. Adesso tu ci sei, prima eri sempre da un’altra parte”».

Chi parla è Cristina Sovarzi, psicoterapeuta che lavora sul territorio di Monza e di Milano da oltre 30 anni. È ancora oggi un punto di riferimento per tante persone e tante famiglie con problemi di dipendenza: «Le dinamiche delle dipendenze sia da sostanza che comportamentali, come quella da gioco d’azzardo, sono di base le stesse e simili sono i percorsi di recupero».

Quale è il ruolo dei familiari in caso di dipendenza?

I familiari di una persona con dipendenza hanno un ruolo fondamentale, perché possono essere di aiuto sia di ostacolo lungo il percorso di recupero del proprio caro. Va inoltre tenuto presente che, durante le diverse fasi della dipendenza, avvengono molti cambiamenti sia in chi gioca sia in chi gli sta accanto.

Che cosa non dovrebbe fare il familiare?

Quando chi sta male non riconosce il problema e non ha consapevolezza della situazione in sui si trova e di che cosa comporti giocare d’azzardo, in questo caso il familiare può fare ben poco.

Cosa invece il familiare può sempre fare?

Per ogni tipo di dipendenza e in ogni sua fase, quello che il familiare può fare è anzitutto non colludere con il malato o la malata. È molto difficile ovviamente, ma è il primo consiglio che mi sento di dare. Quindi aiutare il proprio caro nella presa di consapevolezza del problema, una volta cominciato il percorso di recupero. Uno degli aspetti su cui in famiglia si può da subito collaborare è sicuramente la gestione del denaro che va tolta al giocatore o alla giocatrice. Ovviamente in presenza di violenza da parte di chi gioca, il familiare deve valutare seriamente il distacco, almeno finché la situazione non migliora.

Quindi in presenza di comportamenti disfunzionali o abusanti il familiare che subisce deve allontanarsi?

Certamente, il primo dovere del familiare è sempre e comunque il proprio benessere. Altrimenti il rischio è quello di creare una codipendenza.

Che cosa significa essere codipendente?

Anzitutto legarsi emotivamente alla persona con dipendenza, diventando ‘schiavo’ emotivo del malato. In questo modo si perdono la propria libertà e anche la propria lucidità. Quindi non si è d’aiuto per l’altro e si fa male a se stessi. Questa attitudine alla lunga è autodistruttiva.

Che cosa è invece la polidipendenza?

Si tratta di più dipendenze che colpiscono una stessa persona. Chi soffre di disturbo da gioco d’azzardo non di rado ha problemi anche con l’alcol o con la droga, ma c’è chi per esempio all’azzardo unisce la dipendenza da sesso…

Cosa succede quando sono proprio le situazioni che si vivono in famiglia a scatenare le dipendenze?

In questo caso ci si dovrebbe affidare a un professionista che prenda in carico tutta la famiglia, anche valutando un distacco.

Quali sono le fasi del recupero dalla dipendenza e come il familiare le può vivere e gestire?

La prima fase è quella di non colludere con chi gioca, evitando di colpevolizzare. Molto difficile. È come trovarsi di fronte a un muro. È davvero una fase disperante. Questa fase come dicevamo non può essere innescata da nessuno, se non dal giocatore stesso. Il familiare può dunque intervenire supportando il proprio caro, per esempio condividendo informazioni sul gioco d’azzardo, sull’azzardo patologico e sui luoghi dove trovare aiuto. Quando chi gioca si rende conto del problema può essere colto da emozioni e pensieri ambivalenti. Il familiare si ritrova dunque a dover ‘mantenere la barra dritta’, una sorta di equilibrio emotivo.

Quindi comincia la fase dell’astensione, nel nostro caso dal gioco d’azzardo. In questa tappa del percorso di recupero, il familiare spesso prende a sua volta consapevolezza di tutto quello che ha comportato la condotta pregressa del proprio caro. Le bugie, la perdita di denaro, la frustrazione, la rabbia… E può anche succedere che venga colto/a dal terrore di una ricaduta. Ecco allora che può essere utile avere bene chiaro che il percorso di astensione, senza il quale non è possibile nessun tipo di recupero, può contemplare anche delle ricadute.

Come dunque affrontare le ricadute?

Anzitutto una alla volta, sapendo che possono succedere, perché fanno parte di ogni normale percorso di recupero, tuttavia non rappresentano la riattuazione della dipendenza. In questa fase, ossia durante l’astinenza, chi gioca ha maturato la consapevolezza del problema, ha scelto di guarire e sa che gli inciampi possono succedere. Inoltre in ogni percorso di recupero, se si è aiutati da professionisti e/o da gruppi come quelli dei Giocatori Anonimi, si può capire se la ricaduta è tale oppure è una riattualizzarsi della dipendenza.

La prossima fase…

… è quella del mantenimento dell’astinenza che contempla per il giocatore o la giocatrice la revisione del passato, fare ammenda, accettare di continuare il percorso, ben sapendo che da ogni tipo di dipendenza non si guarisce mai del tutto. Dalla dipendenza non si guarisce, ma ci si può curare, tenendola sotto controllo ed evitando di avere qualsiasi contatto con l’oggetto della dipendenza stessa… e così tornare a vivere.

Questa fase è quella più adatta per fare psicoterapia il cui compito è aiutare il paziente ad analizzare la propria vita e a rielaborarla, ma anche e soprattutto a trovare strumenti pratici ed efficaci per continuare il proprio cammino di vita in modo sano e libero. Per quanto riguarda il familiare questa fase può non essere semplice, perché può portare a galla tutti i sentimenti negativi, fra cui anzitutto la rabbia per tutto quello che si è subito in passato. Ecco allora che anche il familiare dovrebbe avere fiducia nel professionista che segue il proprio caro e magari farsi aiutare a sua volta, se ne sente il bisogno.

Per esempio?

Ricordo una ragazza affetta da più dipendenze che per un po’ di tempo si è rivolta a me, ma a singhiozzi. Veniva e poi spariva per poi tornare quando stava male. Finché è stata arrestata per possesso di stupefacenti. Essendo il suo primo reato, avrebbe potuto godere degli arresti domiciliari. Invece ho convinto la sua famiglia a lasciarla in carcere, dove, dopo qualche mese, ha accettato di venire ospitata in una comunità per la disintossicazione. Oggi sta bene e ha preso in mano la sua vita, riuscendo anche a fare carriera. Ai familiari dico sempre di fidarsi dei professionisti, anche quando le soluzioni proposte possono sembrare paradossali.

Quale falsa credenza dovrebbe abbandonare il familiare di un giocatore d’azzardo?

Sicuramente il fatto che il gioco d’azzardo sia un vizio controllabile con la sola volontà e non una malattia da curare. Poiché non basta la forza di volontà per smettere di giocare. Piuttosto chi gioca, così come chi è affetto da altre dipendenze, deve addestrarsi all’astensione.

Come ci si può ‘addestrare all’astensione’, se non è questione di ‘buona volontà’?

Con la chiara consapevolezza del problema che deriva dalla conoscenza della natura della propria malattia e quindi delle modalità con cui la si può combattere. Il primo passo è l’astinenza, un passo davvero molto duro. All’astinenza però ci si può addestrare per esempio creando dei tabù interiori che aiutano a non cedere al richiamo della fonte della propria dipendenza oppure attuando esercizi mentali per gestire il craving. Sono tutte tecniche e strumenti che si imparano con un professionista e anche nei gruppi di supporto e di recupero. L’astinenza ha le sue fasi: all’inizio il richiamo a cedere è impellente e forte come un mal di denti. Poi diventa meno insistente, anche se le spinte all’impulso restano forti. Quindi man mano gli impulsi scemano, prima come frequenza e poi come intensità.

Un ultimo consiglio che si sente di dare ai familiari di un giocatore o di una giocatrice d’azzardo?

Anche se sono passati anni dall’ultima volta che si è giocato d’azzardo, non va fatto l’errore di pensare di poter giocare in modo sociale, magari un gratta e vinci una volta sola o una partita alla slot machine. È come dire: ho il diabete, sono dieci anni che non mangio dolci, allora oggi mi posso mangiare un profiterole! Eh no, starei male! Questa stessa consapevolezza la deve avere non solo chi gioca (in questo caso chi ha giocato), ma anche i familiari. Tornare ad azzardare, anche solo una volta, riattiva i circuiti neuronali della dipendenza.

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