Violenza di genere e gioco d’azzardo. Se ne parla ancora poco, ma esiste un collegamento. Alessandra Limetti per fortuna ne parla. Lei è giornalista e autrice di A perdere. Un gioco senza amore alla fine del quale non possiamo che chiederci: La vittima del gioco d’azzardo è solo il giocatore patologico o anche chi gli vive accanto?
Nel caso di giocatore uomo, la seconda vittima dell’azzardo è la donna che gli sta accanto.
La violenza di genere è infatti uno degli effetti collaterali, o meglio, delle possibili conseguenze del gioco d’azzardo patologico. Per lo più colpisce le donne: soprattutto mogli e compagne, ma ci sono anche madri coinvolte. Sono coloro che Alessandra Limetti chiama le «vittime collaterali».
Se l’uomo si gioca il denaro e la salute, la donna si gioca i sentimenti e una parte importante della propria vita, mettendo la sua moneta di speranza nella relazione, pronta a rigiocarsi tutto ogni volta.
Alessandra Minetti, oltre a un racconto tratto da una storia vera – pubblicato nel 2021 in un testo a più mani in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, i cui proventi sono andati alla Casa per le Donne di Trento – ha pubblicato per la casa editrice altoatesina Athesia il libro A perdere. Un gioco senza amore. La voce narrante è quella di una donna che racconta il prima, il durante e il dopo della vita con un compagno malato di gioco d’azzardo, cioè prima della patologia, cosa succede durante la vita con il compagno che abilmente riesce a nascondere la sua dipendenza, infine il dopo, il percorso di recupero e gli immensi strascichi economici e psicologici che il problema porta con sé. Dal libro A perdere. Un gioco senza amore è stata tratta una versione drammaturgica, scritta a quattro mani con il regista Francesco Niccolini.
A perdere. Un gioco senza amore è un esempio di narrativa sociale, dove la storia è frutto di esperienze reali di donne e di famiglie di giocatori d’azzardo patologici cucite insieme in una voce unica che è l’io narrante della storia, con riferimenti alla letteratura scientifica. Alessandra Limetti ha infatti lavorato con la consulenza scientifica del dottor Paolo Belletati, psicoterapeuta responsabile del settore azzardo presso il Centro Hands di Bolzano e la psicoterapeuta Clotilde Bellani.
«Lo scopo che vorrei ottenere con A perdere. Un gioco senza amore è tanto quello di far suonare un campanello d’allarme tanto nelle persone che si trovano in situazioni analoghe, quanto di sensibilizzare sul problema delle famiglie indirettamente coinvolte nella patologia le diverse agenzie che si occupano di prevenzione e cura del disturbo da gioco d’azzardo. Auspico cioè che ci sia una reale e diffusa presa di consapevolezza che accanto al giocatore va aiutata anche la famiglia, anch’essa ugualmente vittima. Vittima collaterale E spesso le compagne, appunto, su cui poi ricade il peso della responsabilità dei figli. Sovente, invece, non solo queste ultime vengono ignorate, ma si chiede alle donne di stare accanto al giocatore, di supportarlo, quasi di “cancellare” quanto accaduto, come se non avesse ricadute psicologiche ed emotive fortissime».
Eppure molti casi di recupero hanno avuto l’importante apporto della famiglia…
Certo, è vero, ma per prima cosa va tenuto presente che le donne, familiari di un giocatore patologico, sono vittime collaterali, cioè sono vite spezzate da un abuso. Non si può dunque chiedere loro, a prescindere, di stare accanto al proprio abusatore. Certamente ci sono casi in cui le famiglie restano unite ed è un vantaggio per il percorso di recupero del giocatore, se la donna sta bene, se non è oggetto di ulteriore ricatto e ulteriore abuso psicologico. Ci sono però altri casi in cui la donna non può continuare ad annullarsi e a stare male, resistendo accanto a un uomo che ha usato violenza nei suoi confronti. Per questo, in molti casi i terapeuti consigliano una separazione almeno momentanea, che non va interpretata come un abbandono da parte della donna, bensì come un atto di tutela.
Il giocatore patologico va curato e ci sono professionisti e centri apposta, contemporaneamente anche la donna non va abbandonata. Invece quando c’è una reale presa di responsabilità da parte del giocatore – a tutti i livelli: economico, emotivo, psicologico, morale, relazionale – allora il percorso di recupero sia per lui che per la famiglia può avvenire in modo sano e possibilmente duraturo.
Violenza fisica o psicologica?
Nella maggior parte dei casi l’uomo che soffre di disturbo da gioco d’azzardo non attua violenza fisica. Detto ciò non significa che la violenza psicologica sia meno grave. Truffa, raggiro, sottrazione di denaro che getta la famiglia in situazioni di disagio, di privazione, se non di vera e propria indigenza. Spesso anche ripetuti atteggiamenti maltrattanti.
In cosa consiste la violenza psicologica perpetrata da un giocatore d’azzardo patologico verso la propria compagna?
Anzitutto il giocatore patologico, per farla franca nella sua continua richiesta di denaro e nella sua continua necessità di coprire i danni che il gioco causa, attiva strategie manipolatorie all’unico scopo di poter continuare a giocare. Il giocatore d’azzardo patologico è, infatti, un abilissimo mentitore. Nella maggior parte dei casi è così bravo da riuscire a mantenere impeccabile la propria immagine pubblica, anche per tanto tempo. Questa sua abilità manipolatoria genera una forma di violenza correlata che ha per vittima la famiglia e in particolar modo la compagna. Tutto questo porta a una condizione di menzogna protratta, oltre alla sottrazione di denaro che nella maggior parte dei casi causa estremi disagi alla famiglia intera, Ci sono anche altre forme di violenza psicologica, in particolare due.
Quali?
Innanzitutto la colpevolizzazione ingiustificata per le difficoltà della famiglia, o il cercare di fa passare la donna per “pazza” se solleva dubbi o preoccupazioni circa la situazione economica. Poi atteggiamenti distanzianti, o sprezzanti, volti ad annichilire. Ancora: il gaslighting, una forma di manipolazione psicologica con la quale vengono presentate alla vittima false informazioni con l’intento di farla dubitare della sua stessa memoria e percezione. E poi il love bombing, tipico di tutti i casi di violenza, anche di quella fisica; è la strategia manipolatoria in cui il partner, soprattutto in seguito a comportamenti “gravi”, in alcuni momenti inonda di gesti d’amore e di attenzioni allo scopo di tenere legata a sé l’altra persona, facendo dimenticare “ciò che non va” e confondendo le acque in modo che non si riescano più a leggerne i segnali contraddittori. Tutti questi comportamenti portano a una situazione di co-dipendenza.
Cosa significa?
La co-dipendenza è la condizione psicologica propria di una relazione in cui una persona adulta si mostra dipendente da un’altra persona. Questo porta la donna a non accorgersi per molto tempo della reale condizione che sta vivendo.
Quante donne e famiglie ha intervistato?
Circa una decina.
Ha trovato affinità tra le loro storie?
Certamente. Le costanti che accadono nelle dinamiche co-dipendenti sono state confermate anche dalle evidenze cliniche dei molteplici casi che sono stati presi in cura negli anni dai referenti scientifici di A perdere. Un gioco senza amore.
Quali sono allora le costanti principali della violenza correlata in una famiglia con un giocatore d’azzardo patologico?
Anzitutto passa tanto tempo prima che una donna, ma in generale i familiari, si rendano conto che c’è un problema grave. Questo anche perché non c’è una conoscenza diffusa del fenomeno. Quindi, quanto più il giocatore è malato, tanto più diventa bugiardo e manipolatore, mettendo in atto strategie in varie forme che sono dei veri e propri abusi.
Prima ha detto che il giocatore patologico va curato e ci sono professionisti e centri apposta, contemporaneamente la donna non va abbandonata. Quanto questo succede?
Ancora troppo poco. Sovente i componenti della famiglia d’origine del giocatore, o gli amici, sminuiscono il problema, appena il familiare smette di giocare, pensando che sia tutto a posto, senza per esempio pensare alle ricadute, o ai disastri economici che ne sono conseguiti, oppure non hanno consapevolezza del fatto che serva un accompagnamento terapeutico sia per il giocatore sia per la donna. Talvolta la conseguenza è un vero e proprio abbandono sociale per il nucleo famigliare del giocatore, soprattutto in casi di conseguenti separazioni o divorzi. Vi sono famiglie d’origine che, nel tentativo di “dimenticare” o cancellare il fatto che il loro congiunto sia o sia stato affetto da azzardopatia (che, ricordiamo, è a tutti gli effetti una dipendenza, seppur senza sostanza e produce modificazioni a lungo termine sia a livello comportamentale che cerebrale), abbandonano la compagna (o ex compagna) e persino i figli del giocatore, i quali spesso si ritrovano da soli a dover affrontare un baratro economico. Ma la vera domanda che io mi faccio un’altra.
Quale?
Quante donne sono rimaste insieme al proprio compagno annullando se stesse, soggette a carichi di responsabilità pesantissimi, subendo gli effetti di una relazione tossica, piuttosto che mettere in campo una rivisitazione della propria relazione per capire se ha ancora senso stare insieme e come? Perché ciò sia possibile, l’unica strada è, come si diceva poc’anzi, quella di una piena e sincera presa di responsabilità da parte del giocatore, unita al desiderio di riscatto e alla volontà di ricostruirsi una vita e una credibilità, anche in seno all’ambiente famigliare. Ci vuole sincerità, limpidezza, disponibilità a rimettersi in discussione a livello profondo e, certamente, un accompagnamento adeguato a livello psicologico. Non sempre questo accade.
Qual è la risposta?
Purtroppo non ho una risposta, ma una certezza sì: il gioco d’azzardo è anche un problema correlato alla violenza domestica, anche con una connotazione di genere.
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