Quando si parla di dipendenza da gioco d’azzardo, le radici del problema possono affondare nel terreno familiare. In molte storie di dipendenza infatti c’è un filo invisibile che lega il presente a dinamiche relazionali antiche, a modelli di comprtamenteo ‘tramandati’, a vuoti emotivi non colmati, se non addirittura a traumi. In altre parole: la famiglia può essere uno dei primi luoghi in cui il rischio comincia a prendere forma. Capire dove nasce il disagio è il primo passo per interrompere il ciclo e proteggere le nuove generazioni. Se è vero che dinamiche familiari disfunzionali possono favorire il gioco d’azzardo, è altrettanto vero che prevenire è possibile.
Ovviamente circostanze traumatiche infantili come separazioni, trascuratezza, abuso o violenza sono fattori di rischio molto importanti per ogni tipo di dipendenza. Senza arrivare a casi limite, fra i fattori di rischio va contemplata anzitutto la cosiddetta dinamicità familiare disfunzionale, ossia uno schema di relazioni caratterizzato da mancanza di comunicazione, ruoli distorti, conflitti non gestiti o negati. Questo accade perché la famiglia è il primo luogo in cui impariamo a gestire emozioni, bisogni, frustrazioni, limiti e relazioni. Quando questi aspetti sono alterati o trascurati, possono innescarsi meccanismi di compensazione, disconnessione o dipendenza.
Attenzione: avere un familiare con dipendenze non determina in automatico un destino, ma aumenta il rischio attraverso l’eredità genetica, la trasmissione di modelli disfunzionali, la carenza di supporto emotivo e l’esposizione precoce a situazioni stressanti. Riconoscere questi rischi permette di intervenire precocemente, proteggere i figli e rompere il ciclo intergenerazionale delle dipendenze. Anche per questo ci siamo con un servizio di supporto gratuito qui.
Quando il rischio entra in casa senza far rumore
Crescere in una famiglia in cui si gioca d’azzardo – anche solo in modo occasionale – espone a un rischio più alto del normale di sviluppare dipendenza. Anche nel gioco saltuario che viene definito ‘sociale’ il rischio c’è, perché l’azzardo viene normalizzato, considerato un gioco innocuo, un passatempo divertente. Ovviamente questo non vuol dire che chi ha un genitore che gioca sia destinato a diventare un giocatore patologico. Piuttosto significa che ci sono condizioni favorevoli che, nel tempo, possono trasformarsi in un problema. A fare la differenza una combinazione di fattori genetici, psicologici, relazionali ed educativi che si intrecciano e si rafforzano a vicenda.
Inoltre alcune ricerche dimostrano che la vulnerabilità alle dipendenze ha una componente ereditaria. In particolare, alterazioni nel sistema dopaminergico – quello che regola piacere e ricompensa – possono essere trasmesse dai genitori ai figli. Anche tratti come l’impulsività, la ricerca di eccitazione o la difficoltà nel regolare le emozioni possono essere più marcati nei figli di chi soffre di dipendenze. Ma non si tratta solo di biologia: è il contesto familiare, spesso fragile o disfunzionale, a fare da cassa di risonanza.
Se l’azzardo diventa la normalità
In molte famiglie dove è presente una dipendenza – che sia da gioco, alcol, sostanze o altro – si respira un clima particolare. A volte c’è caos e imprevedibilità, altre volte silenzio e negazione. I bisogni emotivi dei figli passano in secondo piano, il comportamento dipendente viene minimizzato o giustificato, e manca un dialogo aperto su quello che sta accadendo.
In questo contesto, i bambini vedono che il genitore affronta le difficoltà giocando o rifugiandosi in altri comportamenti compulsivi, e così interiorizzano quello schema, fino a normalizzarlo. Anche se non lo condividono consapevolmente, lo assimilano come possibile risposta alla sofferenza.
Il gioco d’azzardo, in particolare, viene spesso accettato come passatempo, e dunque può diventare una routine tossica senza che nessuno lo metta in discussione. In questo modo, l’esposizione precoce – magari sotto forma di “gratta e vinci” comprati insieme al supermercato o di scommesse calcistiche vissute con entusiasmo – apre la porta a una familiarità con l’azzardo che col tempo può radicarsi.
Il gioco come rifugio quando la famiglia non sostiene
In molte famiglie disfunzionali, le emozioni non si nominano. Non si parla di dolore, di rabbia, di fragilità… Anzi, chi prova a farlo si sente dire che esagera, che deve essere più forte. Questo silenzio emotivo genera frustrazione, senso di solitudine e difficoltà a gestire lo stress. Ecco perché, per alcuni, il gioco d’azzardo diventa un modo per “anestetizzare” il malessere, per provare quella gratificazione che altrove non si trova.
Soprattutto, se in casa i ruoli sono confusi: quando i figli diventano “adulti” troppo presto, quando devono mediare i conflitti o prendersi cura di genitori fragili, si crea uno squilibrio. Questi giovani e giovanissimi crescono con una identità fragile, senza punti di riferimento chiari, e spesso con un carico emotivo troppo grande da portare. In assenza di modelli coerenti, si rischia di cercare altrove – nel gioco, ad esempio – un senso di potere, di autonomia, di evasione. In questo contesto, per esmepio i più giovani possono crescere senza strumenti per riconoscere e gestire le emozioni, sviluppando convinzioni disfunzionali (“per essere visto devo comportarmi male”, “nessuno si prende cura di me”).
E se la tensione è costante – litigi, conflitti, punizioni – il bisogno di fuga diventa ancora più forte. Il gioco promette un altrove, un’illusione di controllo e di sollievo immediato. Non importa se dura poco: basta distrarsi, sentire l’adrenalina, credere – anche solo per un attimo – di poter vincere. Inoltre le famiglie con dipendenze spesso fanno fatica a: dare regole chiare, a monitorare i comportamenti e ovviamente a educare all’uso responsabile del denaro, della tecnologia o del tempo libero. Questo contesto può facilitare l’accesso precoce dei figli all’azzardo, senza filtri, educazione critica o supervisione.
Cicli che si ripetono e come romperli
Le dipendenze tendono a riprodursi nei cicli familiari, anche se in forme diverse. Chi è cresciuto in una casa dove i problemi venivano evitati o affrontati in modo impulsivo – tra scoppi d’ira, silenzi, bugie – spesso sviluppa lo stesso tipo di meccanismi: evita il dolore, non chiede aiuto, cerca compensazioni rapide. E così può rifugiarsi in una nuova dipendenza, magari invisibile all’inizio, ma altrettanto insidiosa Il gioco d’azzardo, in particolare, offre una funzione psicologica potente: diventa rifugio, illusione, anestetico e sfida, tutto insieme. In una famiglia che non sostiene, può rappresentare una zona neutra in cui sentirsi “vivi”, in cui nessuno giudica e le regole sembrano sospese.
Essere consapevoli di questi meccanismi non significa colpevolizzare, ma mettere in luce dove e come può iniziare il cambiamento. Avere in famiglia una persona che gioca non è una condanna, ma un invito a fermarsi, a guardare in faccia ciò che spesso resta nascosto. Per proteggere chi è a rischio, in particolare i più giovani, è fondamentale offrire ascolto, regole chiare, affetto autentico.
E se gli equilibri familiari sono già compromessi, la buona notizia è che non è mai troppo tardi per chiedere aiuto. Insieme. Perché affrontare il gioco d’azzardo non è solo responsabilità del giocatore, ma di tutto il sistema che gli ruota intorno. E perché anche le famiglie ferite possono ritrovare una strada diversa, più sana, più libera.
Le famiglie disfunzionali non causano direttamente la dipendenza, ma creano un terreno fertile per lo sviluppo di comportamenti a rischio. Se mancano contenimento emotivo, comunicazione sincera e ruoli chiari, il gioco può diventare uno strumento di sopravvivenza psichica, anche se autodistruttivo. Investire sulla salute relazionale familiare – ascolto, affetto, regole chiare, dialogo – è una forma di prevenzione potente. E se questi equilibri sono già compromessi, chiedere aiuto insieme (non solo il giocatore) è il primo passo verso il cambiamento.
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