In origine era Maria Montessori. È sua, infatti, l’idea della mystery box. Quando ancora il mondo era soltanto analogico. Si tratta di una scatola chiusa con uno o due fori. Il bambino vi infila le mani per toccare il contenuto all’interno. Questo esercizio affina la percezione sensoriale, aiutando il pargolo nel suo percorso di conoscenza del mondo. Fisico.
Poi la realtà si è digitalizzata. E così in questa nuova era atropologica, anche la mystery box si è adeguata al flusso. Diventando essa stessa fluida. Assumendo cioè una nuova identità liquida. Integrandosi quindi, perfettamente, nell’indistinto mondo del web. Tanto che oggi la mystery box è la punta dell’iceberg di un nuovo modello di business, quello dell’unboxing (con implicazioni al limite della legalità e dove il fake è sempre dietro l’angolo). Non si chiama però più mistery, bensì loot che significa bottino.
Il fascino di queste scatole sta proprio nel loro mistero, nella loro segretezza che si svela durante lo scartamento. Un mistero che genera adrenalina. Una sorpresa che a tutti gli effetti è una scommessa.
Unboxing per tutti i gusti
Il fenomeno dell’unboxing è così popolare da essere diventato una vera e propria tendenza. Le loot box si presentano sotto forme diverse. Possono essere scatole fisiche consegnate a casa a scadenze fisse, contenenti prodotti di marca a sorpresa, a fronte del pagamento di una quota fissa mensile. Esistono anche nella versione regalo e gift card. Di fatto alimentano una vera e propria box mania che Amazon, eBay & Co. sfruttano a piene mani, anche grazie al lavoro di tanti YouTube, Tiktoker e influencer che recensiscono prodotti, in particolar modo videogiochi, proprio scartando le scatole misteriose.
Questa tipologia di contenuti video, che è rivolta anche a un pubblico di giovanissimi (basti pensare ai regali, alle uova di Pasqua, ai giocattoli che vengono scartati) tengono incollati i bambini allo schermo, come drogati, innescando emozioni indotte, assolutamente virtuali, eppure in grado di indurre il bisogno reale dell’acquisto di quel prodotto.
L’unboxing è soprattutto il fenomeno legato al mondo dei videogiochi: si va dai videogiochi gratuiti con la possibilità di acquistare bonus o potenziamenti (strategia di marketing che consente guadagni maggiori rispetto alla promozione del videogioco a pagamento, come dimostra il caso di Fortnite, ma anche il diffusissimo FIFA), agli acquisti online a prezzo fisso di pacchi che possono contenere oggetti di qualunque valore economico (e di solito il valore di ciò che si riceve è minore rispetto a quanto si è speso).
Come al Win for Life, insomma, non si vince, ma l’aspettativa è stratosferica. Legata a filo diretto con il meccanismo di incentivazione di desideri fittizzi e bisogni indotti.
Ci sono dunque loot box fisiche e loot box virtuali, ossia si tratta di oggetti digitali che generalmente migliorano l’esperienza all’interno di un videogioco.
Unboxing solo digitale
I videogiochi famosi che contengono le loot boxe sono molti, ad esempio FIFA, Counter-Strike o Fortnite. Le loot box nei videogame funzionano in base a un principio simile a quello utilizzato per le figurine. Spendendo poco, si può acquistare una bustina di figurine adesive e l’album da completare. È possibile scoprire quali sono le figurine contenute nella bustina solo dopo averla aperta. Per completare l’album è necessario continuare ad acquistare altre bustine di figurine. Abbiamo dunque permesso che l’adrenalina dello scartamento delle figurine sconfinasse nella meccanica primaria del gioco d’azzardo e della pandemia d’azzardo
Il legame tra questa pratica digitale e ludica con il gioco d’azzardo e il rischio di disturbo da gioco d’azzardo è ormai conclamata, tanto che anche il legislatore si è posto il dubbio. Il Pegi (Pan European Game Information), ossia l’ente europeo che certifica l’età di riferimento dei giochi in base ai contenuti e alle dinamiche, aveva anticipato la proposta di creare un’etichetta apposita per indicare quando questa modalità di acquisto comporti una casualità: Includes Paid Random Items. Al momento però non si hanno notizie in merito.
In molti videogame con le loot boxe i giocatori non sanno quanto può essere alta la probabilità che la scatola del tesoro virtuale contenga proprio la ricompensa desiderata. Perciò, per ottenere l’oggetto desiderato, i giocatori o si applicano per ore tentando di conquistare le scatole, oppure spendono per acquistarne sempre di nuove.
Lo studio che smaschera l’unboxing
All’università di Plymouth e Wolverhampton, in Gran Bretagna, è stato completato uno studio dal quale sono emersi i punti in comune tra l’unboxing e il gioco d’azzardo, portando a questa conclusione: «Le loot box sono strutturalmente e psicologicamente simili al gioco d’azzardo […] Chi acquista delle loot box, inclusi i bambini, lo fa prevalentemente a causa della paura di perdere oggetti speciali. In aggiunta, i giocatori sono spesso incoraggiati all’acquisto mediante una serie di ben note tecniche psicologiche, come il regalare delle loot box gratuitamente che però, per poterle aprire, si devono pagare, le offerte speciali a tempo limitato o oggetti a offuscamento dei costi (mediante per esempio le monete di gioco)».
Siamo dunque così soli davanti agli schermi da sentire il bisogno dell’adrenalina di una sorpresa che non merita più la definizione di mistero?
Siamo caduti nell’alienazione del desiderio, superato dalla paura di non possedere oggetti speciali?
Siamo così bisognosi da venire indotti a farci rapinare tempo e denaro?
Il bottino ne vale davvero la pena?
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