Il dr. Mauro Pettorruso è psichiatra e ricercatore presso il Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche dell’Università degli Studi di Chieti-Pescara e da tempo studia i correlati neurobiologici che portano allo sviluppo e al mantenimento delle dipendenze (o addiction), in particolare di quella da gioco d’azzardo: «I cambiamenti neurobiologici che si accompagnano alle dipendenze sono duraturi nel tempo, così come dovrebbero essere le cure. È un po’ come se la dipendenza entrasse a far parte degli strumenti – potremmo dire dell’attrezzatura – che la persona utilizza per affrontare la propria vita».
Mauro Pettorruso studia dunque cosa succede nel cervello di chi soffre di disturbo da gioco d’azzardo e di conseguenza si occupa di sviluppare trattamenti di cura in gran parte innovativi.
Partiamo subito dai trattamenti di cura.
Abbiamo scelto di concentrare le nostre ricerche su soluzioni che stimolino in maniera non invasiva le aree del cervello deputate al controllo degli impulsi. In particolare utilizziamo la Stimolazione Magnetica Transcranica (o rTMS).
La Stimolazione Magnetica Transcranica è un trattamento approvato dalla Comunità Europea e dall’ FDA americana per le depressioni maggiori farmaco-resistenti ed è applicato in larga scala negli Stati Uniti. Da qualche anno sta dimostrando di avere un enorme potenziale nel trattamento delle dipendenze da cocaina, gioco d’azzardo, nicotina e alimentazione compulsiva. A differenza dei farmaci, la rTMS agisce modulando direttamente le aree del cervello alterate dalla patologia, con l’obbiettivo di riportarle gradualmente agli standard pre-patologia. Questa tecnica utilizza impulsi elettromagnetici concentrati sull’area cerebrale di interesse, applicati con modalità specifiche per ogni condizione patologica. In pratica gli impulsi magnetici generano un campo elettrico che penetra attraverso il cranio e induce lo stimolo nel tessuto nervoso, modulando l’attività dei neuroni. Si tratta di una modalità terapeutica sicura e quasi priva di effetti collaterali.
C’è però un aspetto da tenere in considerazione, ancora prima di qualsiasi tipo di trattamento, e che spesso resta invisibile e a cui non viene data la giusta rilevanza.
Di che cosa si tratta?
Del craving. Si verifica quando nella mente della persona affetta da dipendenza – da qualsiasi dipendenza – nasce un nuovo oggetto mentale che prima non c’era. È il craving appunto che imprigiona il malato in un circolo vizioso in cui tutti i pensieri, decisioni e azioni sono condizionati dall’addiction. Il craving annulla la libertà di scelta e porta la persona lungo un crinale sempre più autodistruttivo. Per come si manifesta, poi, il craving rende difficile a chi sta accanto alla persona affetta da dipendenza di provare empatia e di comprenderne il reale disagio. Dobbiamo pensare al craving come a un vero e proprio meccanismo che si è installato nella mente di chi è malato di dipendenza e che influisce in modo prepotente sul suo funzionamento.
La parola craving significa desiderio insaziabile e si manifesta spesso, ma non solamente, come sintomo di una crisi di astinenza. Il craving è dunque il desiderio improvviso e incontrollabile di assumere una sostanza psicoattiva (droga, alcol) o un particolare alimento o di replicare un comportamento come giocare d’azzardo. Il craving si verifica sia quando si è in fase di dipendenza attiva sia quando si sta affrontando un percorso di recupero. Nel caso del gioco d’azzardo il craving può essere attivato se il giocatore viene esposto a sollecitazioni come una pubblicità sul gioco d’azzardo o dalle luci, suoni, colori di una slot machine.
Chi vive accanto a una persona con dipendenza come può riconoscere il craving?
Il meccanismo del craving viene alimentato da particolari stati emotivi, sia positivi sia negativi, come per esempio accessi di entusiasmo così come di rabbia, ma anche noia, depressione oppure eccitazione. Inoltre il craving viene attivato da stimoli ambientali collegati alla dipendenza. Nel caso della dipendenza da gioco d’azzardo, ad esempio, luci, suoni, colori, odori ricollegabili ad una sala slot, oppure la pubblicità del gioco d’azzardo.
Chiunque di noi è a rischio di dipendenza da gioco d’azzardo?
Ci sono persone più a rischio per diversi motivi, che vanno dall’avere genitori dipendenti o da abitudini di gioco acquisite in famiglia, fino a veri e propri tratti della personalità che possono predisporre all’addiction. Tuttavia le ricerche hanno evidenziato anche che ci sono alcune circostanze della vita a cui tutti possiamo essere esposti, come lutti o cambiamenti radicali, che ci rendono più vulnerabili e quindi più esposti al rischio. Gli stati depressivi, spesso legati proprio a mutamenti drastici delle condizioni di vita o a traumi come la perdita di una persona cara, agevolano lo scatenarsi di meccanismi compulsivi; inoltre nel caso specifico dell’azzardo, si aggiunge il desiderio di vincere denaro scommettendo, come fosse una sorta di riscatto per quello che la vita ha tolto.
Dal suo osservatorio cosa ci può dire in merito alla diffusione del gioco d’azzardo?
Abbiamo osservato che, dopo la pandemia da Covid, ha ripreso forza un’altra pandemia: quella da azzardo che ha avuto un netto incremento dopo i lockdown in tutta Italia e da noi in Abruzzo. La nostra, infatti, è una Regione in cui il gioco e la dipendenza sono una problematica sanitaria e sociale molto grave e diffusa.
E dopo le analisi che cosa possiamo dire in merito a soluzioni, in previsione di un futuro il più libero possibile dall’azzardo, nonostante i numeri al momento dicano l’esatto contrario?
Uno dei nodi da sciogliere è quello della prevenzione. Serve assolutamente investire tempo, energie e risorse economiche nel fare bene e in modo efficace prevenzione. E questo è un problema che non riguarda solo l’Italia. Anche in altri Paesi la prevenzione viene fatta poco e/o in modo non efficace. Si è ormai dimostrato con i fatti e i risultati che il proibizionismo non serve, ma neppure la sensibilizzazione che si concentra unicamente sui rischi. La mia idea è quella di proporre concrete modalità alternative per indirizzare la creatività dei bambini e degli adolescenti verso attività sane. Attività concrete e che, nella dimensione ludica, indirizzino i ragazzi verso obiettivi buoni e verso sane relazioni, in modo gratificante. Lo si sta facendo per esempio in Islanda attraverso massicci investimenti sullo sport, che è stato scelto come modalità aggregante, educativa, relazionale e gratificante, proposto in modo da concentrare le menti dei più giovani verso un obiettivo, stimolandone anche la creatività.
Prevenzione a partire dai più giovani…
… sì, e prima si comincia, meglio è. Si tratta davvero di proporre – facendolo sperimentare, quindi non solo a parole – uno stile di vita sano che sia in grado di attivare meccanismi mentali che rendano i ragazzi, ossia i futuri adulti, resistenti agli inneschi patologici dell’azzardo, così come di qualsiasi altra dipendenza.
Dove si può fare questa terapia? è costosa?
Ciao. Grazie per il tuo commento. L’articolo riporta una ricerca clinica. Sicuramente puoi cercare sul web i centri in Italia che propongono la terapia.