Quando in famiglia c’è una persona che soffre di gioco d’azzardo patologico, spesso ci si trova di fronte a un comportamento difficile da comprendere: il craving. Con questo termine si indica il desiderio intenso, quasi irresistibile, di giocare, che nasce all’improvviso e sembra impossibile da controllare.
Il craving non è semplicemente “voglia di divertirsi”, ma una vera e propria spinta compulsiva generata dal cervello. Proprio come accade nelle dipendenze da sostanze (alcol, fumo, droghe), anche il gioco attiva il circuito della dopamina: il neurotrasmettitore del piacere e della ricompensa. Per questo chi è in craving non riesce a ragionare in modo lucido: la mente è concentrata solo su come tornare a giocare, anche a costo di mentire, indebitarsi o mettere a rischio i legami affettivi.
Perché i familiari devono conoscere il craving
Molti parenti pensano che il craving sia solo “mancanza di forza di volontà”. In realtà si tratta di un sintomo della dipendenza, non di debolezza caratteriale. Capire che il craving non è un capriccio, ma una malattia del comportamento è il primo passo per affrontarlo con maggiore consapevolezza.
Conoscere il craving aiuta i familiari a:
- Interpretare i segnali precoci del disagio
- Evitare litigi e accuse inutili che peggiorano la situazione
- Trovare strategie per ridurre i rischi di ricaduta
- Sostenere il proprio caro senza farsi schiacciare emotivamente.
Segnali che un familiare è in craving
Il craving non è sempre visibile, ma ci sono alcuni indizi che i familiari possono imparare a riconoscere:
- Irrequietezza e nervosismo senza motivo apparente
- Pensieri fissi sul gioco, espressi ad alta voce o percepibili nei comportamenti
- Bugie e scuse per procurarsi denaro o giustificare assenze
- Isolamento improvviso o cambiamento nelle abitudini quotidiane
- Agitazione di fronte a stimoli che ricordano il gioco (pubblicità, bar, notifiche sul telefono).
Imparare a leggere questi segnali non serve a controllare la persona, ma a prepararsi ad affrontare la situazione con più lucidità.
Errori da evitare quando il craving si manifesta
Anzitutto banalizzare (“È solo un momento, passa”) perché si riduce la gravità del problema, ma anche colpevolizzare, perché aumentano vergogna e conflitto. Infine farsi carico di tutto da soli, perché tentare di gestire in autonomia il craving e la dipendenza rischia di logorare i familiari e alimentare la co-dipendenza.
5 Strategie Pratiche per Gestire il Craving in Famiglia
1. Parlare apertamente senza giudizio
Il craving genera vergogna: chi lo prova spesso si sente in colpa, ma non riesce a fermarsi. Per questo è fondamentale aprire un dialogo empatico, evitando accuse o giudizi. Per esempio si possono evitare frasi come: “Ho la sensazione che tu stia attraversando un momento difficile, vuoi raccontarmi?” oppure “Vedo che sei agitato, cosa sta succedendo?”, ma anche “Sei sempre uguale, non cambierai mai” o “Non hai nessuna forza di volontà”. Anche se è difficile, parlare senza giudizio permette di ridurre la tensione e aprire un piccolo spiraglio di ascolto.
2. Offrire distrazioni sane e immediate
Il craving è come un’onda: cresce, raggiunge il picco e poi scende. Per resistere, spesso basta spostare l’attenzione con attività alternative come uscire a fare una passeggiata insieme, cucinare un piatto in compagnia, proporre un’attività fisica (anche breve, come una corsa o degli esercizi in casa), telefonare a un amico o a un familiare fidato. Non servono soluzioni complicate: anche una semplice chiacchierata può interrompere il circolo vizioso e “guadagnare tempo” fino a quando l’impulso cala.
3. Gestire il denaro in modo protetto
Il craving diventa particolarmente rischioso quando la persona ha accesso facile ai soldi. Ecco perché è utile ridurre la disponibilità di contanti in casa e limitare l’uso di carte di credito o bancomat, ma anche pianificare insieme le spese familiari, pagando subito bollette e acquisti necessari. Inoltre è fondamentale valutare l’autoesclusione dal gioco online, uno strumento messo a disposizione dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) che blocca l’accesso ai siti (legali) di scommesse. Non si tratta di controllare ossessivamente la persona, ma di proteggere il contesto familiare riducendo le occasioni di rischio.
4. Creare una routine di prevenzione
Il craving è spesso scatenato da trigger, cioè stimoli che riattivano la voglia di giocare. Può trattarsi di luoghi (un bar con slot machine), momenti della giornata (la sera, dopo il lavoro), o situazioni emotive (noia, stress, solitudine).
Per gestirli, la famiglia si possono dentificare insieme i trigger principali e anche costruire strategie alternative (cambiare strada per evitare certi luoghi, spegnere notifiche di app di gioco, programmare attività nei momenti più critici). Infine incoraggiare pratiche di rilassamento (respirazione, yoga, meditazione guidata). Prevenire infatti è spesso più efficace che affrontare una crisi già in corso.
5. Cercare supporto professionale
Il craving è uno dei sintomi più complessi della dipendenza da gioco e non si può gestire solo in famiglia. Ecco perché è fondamentale rivolgersi a professionisti. Dove sono?
- AiSerD (Servizi per le Dipendenze) territoriali che offrono supporto medico e psicologico
- Gruppi di auto-aiuto per giocatori e familiari come Giocatori Anonimi
- Associazioni specializzate come Vinciamo il gioco con cui offriamo un servizio di supporto psicologico gratuitto qui.
Chiedere aiuto non è un fallimento, ma un atto di responsabilità verso se stessi e la propria famiglia.
Il ruolo dei familiari: sostegno e protezione
Il compito dei familiari non è “guarire” la persona che gioca, ma stare accanto in modo sano offrendo supporto emotivo senza annullare se stessi, proteggendo il bilancio familiare, incoraggiando attività alternative e mantenendo aperto il dialogo, anche nei momenti di difficoltà. È un equilibrio complesso e delicato, perché si vuole aiutare senza sostituirsi, sostenere senza farsi schiacciare.
Il craving è uno degli aspetti più difficili da affrontare nel gioco d’azzardo compulsivo, ma non è invincibile. Conoscere il fenomeno, riconoscere i segnali, adottare strategie pratiche e chiedere aiuto ai professionisti permette ai familiari di affrontarlo con più forza e meno paura. Il craving non è la persona, ma un sintomo della malattia. Non sei solo. Servizi, associazioni e progetti gratuiti possono accompagnare te e la tua famiglia in un percorso di cambiamento e guarigione.

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