Quando, ancora prima di laurearti, mentre stai studiando psicologia, incontri persone che vengono considerate pazze e trattate come tali, perché tossicodipendenti, è in quel momento che puoi unirti al trend oppure approfondire e partecipare a un cambiamento… terapeutico.
Sono gli anni Novanta e da allora di strada ne è stata fatta, grazie anche a persone come Guglielmo Masci che non si è unito al trend. Psicologo e psicoanalista, docente di Psicologia presso Università Tor Vergata Roma, oggi dirige SOS Azzardo M’ 80 a Roma. Il dottor Masci ha contribuito alla ridefinizione delle dipendenze e delle problematiche di salute, individuale e pubblica,
ad esse legate, lavorando in prima persona alla creazione di nuovi servizi di prevenzione e di cura.
Il principio guida è sempre stato «la territorializzazione capillare degli interventi» per ogni tipo di addiction, tra cui il gioco d’azzardo patologico.
Ho capito l’entità della diffusione dell’azzardo e la sua incidenza sociale nell’operatività, ossia nel lavoro di tutti i giorni sul territorio. Ricordo ancora uno dei miei primi pazienti: era tossicodipendente e aveva cominciato a giocare d’azzardo. Dopo un percorso di cura è uscito dalla tossicodipendenza, ma è rimasto un giocatore patologico
Quale è la sua analisi in merito alla situazione attuale del gioco d’azzardo in Italia e della presa in carico da parte dei servizi sanitari?
Oggi gli strumenti di prevenzione e di cura non sono più sufficienti, d’altronde come si evolve il fenomeno dell’azzardo, così devono cambiare anche gli strumenti terapeutici. Vista la pandemia da azzardo che stiamo vivendo, o piuttosto subendo, siamo in una fase di sperimentazione per nuove soluzioni. Come comunità clinica e scientifica ci stiamo infatti interrogando sulle tecniche terapeutiche migliori che devono essere riviste nell’ottica di interventi complessivi che tengano conto della complessità (non è un gioco di parole) del disturbo da gioco d’azzardo.
Una complessa articolazione che mette in gioco più ambiti e dunque più soluzioni…
Infatti in ambito sanitario non si può più pensare a una sola terapia uguale per tutti, ma piuttosto ad azioni e strumenti diversi, seppur integrati tra loro e personalizzati in base al giocatore/giocatrice.
Quanto dunque è cambiato lo scenario dell’azzardo patologico in Italia?
Moltissimo ed è in continuo cambiamento. Le grandi e più destabilizzanti novità sono state prima l’introduzione delle slot machine e poi il gioco online; entrambi mezzi fortemente attrattivi e profondamente pervasivisi. E non dimentichiamo che, se le sostanze stupefacenti sono vietate, il gioco ce lo tirano addosso! Ormai è dimostrato che l’offerta contribuisce a generare la dipendenza.
Nella pratica SOS Azzardo M’ 80 come lavora?
SOS Azzardo M’ 80 lavora con collaborazioni istituzionali, ma anche in partnership con altre realtà come l’Asilo Savoia per progetti come Gioco d’Azzardo Gioco Bugiardo a Roma per il quale offriamo gruppi di auto-mutuo-aiuto, consulenza familiare, consulenza finanziaria, terapie familiari e terapie personalizzate. Ossia servizi che svolgiamo ogni giorno per i nostri circa 300 pazienti e per le loro famiglie. Inoltre facciamo parte di ALEA e forniamo anche formazione nella forma della psico-educazione.
Di cosa si tratta?
La psico-educazione è un vero e proprio percorso di formazione per le singole persone allo scopo di far comprendere che cosa sia davvero il gioco d’azzardo e che cosa comporti. Si tratta di un’azione di supporto alla terapia che genera consapevolezza sia nei giocatori che nei loro familiari. Conoscere, comprendere e rendersi consapevoli di come funziona l’azzardo, permette di uscire dall’illusione ludica che l’industria del gioco crea e diffonde.
Questo approccio funziona?
Certo, a patto che le persone scelgano di ‘starci’ e decidano di usare la propria mente in modo razionale, di farsi domande e di riprendersi la libertà che il gioco ha rubato loro.
Quale metodo adottate?
I nostri incontri sono anzitutto momenti di serenità durante i quali si dialoga e ci si confronta senza paura di venire giudicati e senza essere pressati dal senso di colpa e di fallimento. Lavoriamo per generare la consapevolezza che, come per ogni altra malattia, quando si sta male, ci si cura.
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