Cosa c’entra l’impatto dei device (smartphone, tablet, console…) sullo sviluppo neurocognitivo, quando parliamo di gioco d’azzardo?
Ce lo spiega Alberto Oliverio, professore emerito di Psicobiologia presso l’Università Sapienza di Roma.
L’impatto dei device sullo sviluppo neurocognitivo, infatti, riguarda ormai «un’abitudine di comportamento generale che spesso sfocia in comportamenti problematici, se non addirittura patologici». L’impatto dei device sullo sviluppo neurocognitivo c’entra anche con il gioco d’azzardo, perché «parliamo sempre più spesso di poli-dipendenze, ossia di più dipendenze intersecate tra loro che vanno dalla droga all’azzardo a quella dei device… Sempre più minori, infatti, anche molto piccoli, usano i device collegati online. Teniamo in considerazione che i giovanissimi hanno una soglia di stimolazione più bassa rispetto agli adulti; questo significa che vengono stimolati più facilmente, inoltre il loro sistema di rinforzo è più attivo: in poche parole i device hanno un impatto decisamente maggiore sui più giovani».
stimoli e dopamina: le rispote del nostro cervello quando è online
Ogni volta che proviamo una gratificazione sia fisica che psicologica, il nostro cervello rilascia una sostanza
che si chiama dopamina e che, quando è in circolo nel nostro organismo, induce una sensazione di piacere.
Il sistema di rinforzo di cui il nostro cervello è dotato, se continuamente stimolato, viene indotto a rilasciare sempre più frequentemente dopamina, generando così un circolo vizioso per cui diventiamo dipendenti dalla sensazione di piacere che la dopamina induce e quindi continuiamo a cercare sempre di più ciò che ci stimola (la slot, la droga, il videogioco…), in una coazione a ripetere che facilmente induce alla dipendenza.
È ormai scientificamente provato che «i device danno rinforzi continui in modo diverso e spesso addirittura contrario rispetto alla vita offline che invece li rilascia in modo dilazionato nel tempo e graduale.
La natura infatti sa bene che ogni tipo di stimolo ha una intensità specifica e che per raggiungere la sua massima intensità segue una gradualità; ci vuole dunque del tempo, in modo tale che ci si possa abituare
agli stimoli, imparare a riconoscerli, a gestirli e anche a sceglierli. Tutto questo non avviene online.
Qui i ragazzi sono alla continua ricerca dello stimolo e questo incide per prima cosa sull’attenzione e sulla capacità di concentrazione. I tempi online, concepiti da chi produce i device, sono dunque molto diversi da quelli naturali. Oltre a un calo della capacità di attenzione dei nostri ragazzi, è stata rilevata anche la sempre maggiore ricerca di una ricompensa immediata. Tutto ciò induce a un’abitudine a forme di dipendenza».
come non farci rovinare il cervello dai device
Quali raccomandazioni possiamo dare anzitutto alla comunità educante (famiglia e scuola)? «Per i più piccoli, diciamo per i bambini dalla prima infanzia fino alla scuola primaria, è bene proporre principalmente giochi
che possano essere svolti in modo concreto, ossia offline, e in prima persona. Sono fondamentali per la crescita sana le esperienze dirette, a contatto con la realtà, meglio ancora se in gruppo. Non dimentichiamoci mai che il gioco è uno strumento positivo con enormi valenze educative, inoltre ha anche il potere di medicare le piccole ferite psichiche che inevitabilmente nascono già nei primi anni di vita. In sintesi dunque, quando
il gioco è strettamente legato ai tempi della natura, abitua i più piccoli alla lentezza, alla concretezza,
alla relazione tra pari e al rispetto delle regole».
Per quanto riguarda gli adolescenti ormai è stato rilevato da più fonti un deficit di attenzione sempre più diffuso: pensiamo ai video corti destinati proprio ai ragazzi (gli shorts sdoganati da Tik Tok), ma anche alla nuova modalità di fruizione delle canzoni, ascoltate ‘a pezzi’, raramente per intero (anche in questo caso un’abitudine indotta dai social media). Come spiega il professor Oliverio «tutto questo comporta anche una latenza di interesse, ossia tutto ciò che non fa parte di questi continui meccanismi di ricompensa, di questi velocissimi stimoli ripetibili all’infinito non suscita una reale attenzione. Penso per esempio agli spot pubblicitari che non hanno più elementi temporali di storytelling con un prima e un dopo, una consequenzialità narrativa;
al loro interno non esiste quasi più una logica temporale, la classica consecutio temporum.
Bensì tutti i messaggi che i nostri ragazzi ricevono, spesso passivamente, sono costruiti per lanciare emozioni forti e sempre generali che non riguardano la quotidianità e l’esperienza delle persone a cui si rivolgono, ma piuttosto creano l’immaginario di una realtà insistente e illusoria a cui aspirare».
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